Cementificio

La combustione dei rifiuti nei cementifici

Un appello alla politica e al buon senso.

Il 23 gennaio 2013 è arrivata alla Camera la proposta di legge denominata “Utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) in cementifici soggetti al regime dell’autorizzazione integrata ambientale”, in seguito alla sua approvazione da parte del Senato.

Il testo è consultabile cliccando qui ed è imminente la discussione per l’approvazione definitiva del testo. Qualora questo avvenga, ci sarebbe un’estrema agevolazione del procedimento autorizzativo unico necessario ai cementifici per bruciare rifiuti (sotto forma di “combustibile solido secondario”, CSS) in sostituzione parziale dei combustibili fossili. Nonostante questa pratica, economicamente conveniente per l’imprenditoria di settore, possa teoricamente comportare una riduzione di alcune emissioni di gas serra, gli svantaggi per gli italiani sarebbero enormemente maggiori rispetto ai possibili benefici, comunque ottenibili con metodi alternativi e più sostenibili.

  1. I cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti con e senza l’uso dei rifiuti come combustibile e i limiti di legge per le emissioni di questi impianti sono enormemente più permissivi e soggetti a deroghe rispetto a quelli degli inceneritoriclassici. Ad esempio, considerando solo gli NOx, per un inceneritore il limite di legge è 200 mg/Nmc, mentre per un cementificio è tra 500 e 1800 mg/Nmc. Inoltre, un cementificio produce di solito almeno il triplo di CO2 rispetto a un inceneritore classico. La lieve riduzione dei gas serra ottenuta dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con rifiuti ridurrebbe le emissioni dei cementifici in maniera scarsamente significativa, considerata la abnorme produzione annua di CO2 da parte di questi impianti che, secondo i dati del registro europeo delle emissioni inquinanti (E-PRTR) ammonta in Italia a circa 21.237.000 tonnellate/anno. Basterebbe un piccolo aumento della capacità produttiva dei singoli impianti per recuperare abbondantemente la quantità di gas serra “risparmiata” dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con i rifiuti. Questi ultimi, infatti, sono economicamente molto più vantaggiosi dei combustibili tradizionali e, dunque, agirebbero da concreto incentivo all’aumento della produzione. Se l’obiettivo del legislatore è dunque quello di ridurre le emissioni inquinanti di tali impianti, sarebbe opportuno proporre, in luogo di una mera variazione di combustibile, l’imposizione di miglioramenti tecnologici e di limiti produttivi ed emissivi che possano garantire maggiormente la tutela dell’ambiente e della salute pubblica.
  2. La combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare in merito alla emissione di diossine/composti organici clorurati e metalli pesanti. La produzione di diossine è direttamente proporzionale alla quantità di rifiuti bruciati. Riguardo alle diossine, viene sottolineato da parte dei proponenti di tale pratica come le alte temperature dei cementifici diminuiscano o addirittura eliminino le emissioni di queste sostanze, estremamente pericolose per la salute umana. Tale affermazione sarebbe invalidata da evidenze scientifiche che mostrano come, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento (nella parte finale del ciclo produttivo) esse si riaggregano e si riformano. Inoltre, considerata la particolarità chimica delle diossine (inquinanti persistenti per decenni nell’ambiente e nei tessuti biologici, dove si accumulano nel tempo), l’eventuale riduzione quantitativa della concentrazione di diossine nelle emissioni dei cementifici sarebbe abbondantemente compensata dall’elevato volume emissivo tipico di questi impianti. È stato dimostrato che la combustione di CSS nei cementifici causa un significativo incremento delle emissioni di metalli pesanti, in particolare mercurio, enormemente pericolosi per la salute umana. È stato calcolato che la combustione di una tonnellata di CSS in un cementificio in sostituzione parziale di combustibili fossili causa un incremento di 421 mg nelle emissioni di mercurio, 4.1 mg in quelle di piombo, 1.1 mg in riferimento al cadmio. Particolari criticità dovute alla tipologia di rifiuti bruciati sono state riportate in merito alle emissioni di piombo.
  3. L’utilizzo del CSS nei cementifici prevede l’inglobamento delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione dei rifiuti (di solito smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi) nel clinker/cemento prodotto. Questo comporta rischi potenziali per la salute dei lavoratori e possibili rischi ambientali per l’eventuale rilascio nell’ambiente di sostanze tossiche. Inoltre, le caratteristiche fisiche del cemento potrebbero essere alterate dalla presenza di scorie da combustione in modo tale da non renderlo universalmente utilizzabile.
  4. La destinazione dei rifiuti a pratiche di incenerimento è contraria alla recente raccomandazione del Parlamento Europeo (A7-0161/2012, adottata a Maggio 2012), di rispettare la gerarchia dei rifiuti e di intraprendere con decisione, entro il prossimo decennio, la strada dell’abbandono delle pratiche di incenerimento di materie recuperabili in altro modo. Una politica finalizzata alla transizione dal concetto di rifiuto a quello di risorsa, che preveda una progressiva riduzione della quantità di rifiuti prodotti e una concreta politica di riutilizzo della materia attraverso trattamenti a freddo, sarebbe pratica decisamente più sostenibile, economicamente vantaggiosa e orientata al bene comune di quanto sia qualunque scelta che comporti forme di incentivo alla combustione. L’Italia è la nazione Europea con il maggior numero di cementifici e questi impianti causano conseguenze misurabili sulla salute dei residenti nei territori limitrofi, in particolare in età pediatrica. L’incentivazione e l’agevolazione della combustione dei rifiuti nei cementifici potrebbe produrre significative conseguenze ambientali, sanitarie ed economiche e sarebbe ad unico vantaggio dei produttori di CSS e dei proprietari di cementifici. Per le ragioni esposte, sarebbe assolutamente opportuno evitare l’approvazione del D.Lgs. denominato “Utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) in cementifici soggetti al regime dell’autorizzazione integrata ambientale” e prevedere, nel corso della prossima legislatura, una serie di misure finalizzate a rendere maggiormente sostenibile nel nostro Paese sia la produzione di cemento che la gestione dei rifiuti.

Autore: Dr. Agostino Di Ciaula – ISDE Italia

Semi

Nasce il movimento per l’accesso alla terra

Con un appello contro la vendita delle terre di proprietà  pubblica

Si sono venduti l’energia, i trasporti, gli acquedotti, gli immobili, le strade e adesso si vendono pure la Madre.
Si concepisce la Terra solo in termini di possesso, come bene escludente, oggetto di diritti di proprietà.
In nome della proprietà la terra continua a essere violentata: dal folle processo di urbanizzazione senza regole se non quelle della rendita e del profitto.
Un paese che vende le terre agricole pubbliche rinuncia definitivamente alla propria Sovranità Alimentare
Forse non tutti sanno che l’Art.66 del decreto-legge n.1 del 24 gennaio 2012 programma l’alienazione (vendita) dei terreni agricoli o a vocazione agricola demaniali.

Eccoci dunque arrivati a quella che potrebbe essere l’ultima tappa di un oscuro cammino iniziato 2 decenni fa circa, un processo di svendita dei beni pubblici a privati in nome di una più efficiente gestione, come se la logica del profitto privato avesse mai reso dei servigi alla collettività. Si sono venduti l’energia, i trasporti, gli acquedotti, gli immobili, le strade e adesso si vendono pure la Madre: si vogliono vendere la terra in un contesto internazionale dove sta crescendo a ritmo costante il fenomeno denominato land grabbing, l’accaparramento di terreni agricoli da parte di soggetti economicamente forti (paesi in forte crescita e multinazionali) e da parte di speculatori finanziari senza scrupoli, interessati unicamente ad individuare nuove fonti di profitto per i propri capitali da investire. Ecco quindi chi sono i veri destinatari di questa manovra, non certo i giovani imprenditori agricoli di cui parla il comma 3: “…al fine di favorire lo sviluppo dell’imprenditorialità agricola giovanile è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli”. Garantire l’accesso alla terra ai giovani o a chiunque voglia lavorarla non vuol dire garantirne la proprietà e la compravendita – meccanismo questo che per un giovane agricoltore comporta l’indebitamento con le banche – bensì elaborare una serie di normative che favoriscano e sostengano chi vuole iniziare un’attività agricola mettendogli a disposizione l’uso agricolo della terra garantito contro ogni possibile speculazione.

Proseguendo nella lettura si resta stupiti difronte al comma 6: “Per i terreni all’interno di aree protette (…) l’Agenzia del demanio acquisisce preventivamente l’assenso alla vendita da parte degli enti gestori delle medesime aree.” Quindi si ritiene utile vendere a privati anche parte delle aree protette, duramente strappate alla devastazione ambientale, pur di far cassa. Ci domandiamo se le suddette aree una volta vendute rimarranno protette.

Al termine della lettura troviamo lapidario il comma 9: “Le risorse nette derivanti dalle operazioni di dismissioni di cui ai commi precedenti sono destinate alla riduzione del debito pubblico.” Le risorse nette derivanti equivarrebbero a circa 6 miliardi di euro, una goccia nel mare del debito (circa 1800 miliardi) quando il costo stimato delle opere per la TAV in Val di Susa è di 20 miliardi! Con il risultato di essersi sbarazzati del patrimonio senza tappare alcun buco di bilancio, senza poter tornare indietro visto l’articolo che tutela la proprietà privata. Le terre che saranno vendute non potranno mai più tornare pubbliche!

A questo punto sentiamo l’urgenza di dire che un paese che vende le terre agricole pubbliche è un paese che rinuncia definitivamente alla propria Sovranità Alimentare, è un paese che mette con prepotenza l’interesse privato al di sopra del bene comune, è un paese che non saprà come raccontare ai propri figli che si è venduto la terra in nome del bilancio finanziario.

La vendita delle terre dello stato deve essere fermata!

Ridiscutiamo, invece, le modalità di gestione delle terre agricole di proprietà degli enti pubblici.

PROPOSTE

Noi rete delle associazioni contadine proponiamo che le terre di proprietà pubblica individuate in base all’art. 66 della legge n.1 siano oggetto non di vendita ma di nuovi piani di allocazione:

  • che ci si indirizzi verso affitti di lunga durata a prezzi equi a favore di agricoltori o aspiranti tali, sulla base di progetti che escludano attività speculative.
  • si favorisca l’agricoltura contadina di piccola scala, che è l’unica che può sfamare il mondo senza causarne il dissesto, ma anzi arricchendolo e preservandone la biodiversità seguendo le richieste della Campagna per l’Agricoltura Contadina.
  • si prediligano progetti di cohousing, cioè di condivisione solidale dei beni e delle risorse, perchè la buona agricoltura è quella fatta con tante braccia pensanti e con poche macchine.
  • Si individuino percorsi partecipati che sappiano coinvolgere nella progettazione la comunità locale e le realtà contadine di nuovo insediamento.
  • si renda possibile la costruzione con materiali naturali di abitazioni rurali a bassissimo impatto ambientale come legno e paglia, ma totalmente vincolate all’attività agricola. Questo perchè chi lavora la terra deve anche poterla abitare.

Movimento per l’accesso alla terra