>L’aeroporto di Ampugnano uno “status symbol” locale? di Luciano Fiordoni

>Contributo all’assemblea di Sovicille del 20-11-10

Un giorno aprendo la finestra di camera ho notato una grossa ruspa che scavava un enorme buco sul terreno del vicino. “Facciamo una piscina” mi fu detto “sai in campagna d’estate fa comodo e poi accresce il valore della proprietà”. Il buco fu foderato di un telo blu, colmato di acqua e additivi chimici, recintato per la sicurezza nonché infine attrezzato di sedie di plastica, dondolo e luci a palloncino per l’utilizzo notturno. Da allora, un motore, rompendo il silenzio delle campagna filtra incessantemente una massa di acqua che col tempo ha perso i suoi connotati originali.

L’utilizzo della piscina ha avuto un andamento gaussiano, dopo l’entusiasmo del primo anno le frequentazioni e i bagni si sono ridotti ed oggi è un puro simulacro dell’inutilità. Con il tempo si è pertanto posto il problema di dare un senso non alla sua presenza ma ai suoi costi non gaussiani. Lungi dall’optare per la chiusura del buco perchè segnerebbe una sconfitta dell’ego famigliare si è pensato di farci bagnare gli stranieri attirati da esperienze “agrituristiche” in Toscana mentre i proprietari si sono trasferiti in città.
A mio avviso tale vicenda ha evidenti similitudini con l’aeroporto di Ampugnano.
L’ostinatezza di mantenere in piedi una struttura aeroportuale costosa e praticamente inutile esula da motivazioni puramente razionali che imporrebbero la chiusura o il cambio di destinazione del sedime aeroportuale per debordare nell’irrazionale del mondo delle suggestioni di un certo provincialismo culturale locale.
Sul piano politico la razionalità imporrebbe da parte delle rappresentanze politiche trasparenza e condivisione delle scelte con i cittadini, l’irrazionalità/abuso di potere porta invece le stesse a operare scelte sotterranee e a negare l’evidenza dei fatti.
Che lo sviluppo di un aeroporto come Ampugnano sconti ormai una condizione di marginalità economica è opinione diffusa non solo tra la comunità di cittadini ma anche per alcuni organismi pubblici nazionali.
Lo ribadisce chiaramente:
i) uno studio sul sistema aeroportuale nazionale elaborato da One Works, KPMG e Nomisma per il ministero. Gli aeroporti con movimenti di passeggeri inferiori a 1 milione di unità hanno ragione di esistere solo se finanziati localmente con denari pubblici o privati. Sappiamo benissimo che il territorio di cui si parla non può sostenere un’ “orma ambientale” di tale misura, né esistono adeguate strutture di collegamento (strade, ferrovia etc) che possano avallare un processo di integrazione funzionale tra aeroporti (come affermato dall’attuale presidente della società aeroportuale). D’altronde il tentativo di trasformare tale bene in un’attività finanziaria da far circolare nel mercato internazionale dei capitali (operazione Galaxy) si è rivelata fallimentare nella forma e nella sostanza.
ii) uno studio ACI Europe sugli operatori aeroportuali europei da cui si evince che dei 404 aeroporti censiti, 371 sono a proprietà pubblica, 52 sono a capitale misto (pubblico- privato ma con il controllo pubblico) e 35 sono posseduti da privati. Naturalmente gli aeroporti privati sono quelli più grandi come London-Heathrow (BAA), Frankfurt (FRAPORT) and Moscow-Domodedevo (EastLine Group). Ancora più evidente la natura pubblica della proprietà se si guarda lo scenario europeo nel suo insieme come si evince dal grafico sotto riportato (elab.ne su dati ACI 2010).

Perchè allora questa ostinatezza a proseguire in un progetto costoso e di per sé senza prospettive future. Perchè abbattere una struttura aeroportuale per ricostruirla, perchè investire milioni di euro in un progetto destinato a perpetuare perdite di ricchezza?

Viene da pensare che un aeroporto rappresenti per le lobby di potere senesi uno status symbol come la piscina è uno status stymbol individuale e sia figlio di un modello culturale localista dove gli interessi privati riferibili ad una cerchia ristretta di persone/società prevalgono su quelli generali. Siamo nell’ambito delle motivazioni che esulano da principi razionali di responsabilità sociale ed economicità per debordare nel campo dell’emotività e delle suggestioni di gruppo dominante.

Sul piano sociologico potrebbe essere assimilato ad un tentativo del potere di autoaffermarsi/legittimarsi: es. la risposta positiva al mio messaggio (insensato) consolida il mio peso decisionale nel territorio

Da puri osservatori esterni di questo meccanismo di potere ci chiediamo, ora che Galaxy si è defilata, quali siano le fonti di finanziamento di tale progetto e gli obiettivi reali.

Circa le fonti di finanziamento si profila all’orizzonte un crescente impegno economico di natura pubblica che siano mutui bancari o erogazioni dirette delle amministrazioni locali. Al riguardo è opportuno ribadire la nostra contrarietà a qualsiasi impiego di risorse pubbliche in tale progetto. A fronte di una endemica scarsità/illiquidità finanziaria delle amministrazioni locali e di un palese stato di abbandono delle infrastrutture e dei servizi territoriali il denaro investito nel potenziamento di una struttura marginale come l’aeroporto in questione è in palese conflitto con i principi di democraticità e di rappresentanza politica e impone una reazione adeguata da parte della comunità.

Circa gli obiettivi, data la totale disinformazione della popolazione circa gli intendimenti delle amministrazioni locali, possiamo immaginarci (secondo una possibile interpretazione razionale) il tentativo di “rifare il look” ad una vetusta struttura per poter accedere al mercato dei voli low cost e fare business immobiliare secondo una insensata logica dello sviluppo. Lo dimostra l’esperienza (tra l’altro analizzata da CerTet Bocconi) dell’aeroporto di Orio sul Serio rispetto a Bergamo. In quel caso lo sviluppo di un aeroporto in un’area depressa sul piano turistico ha indotto uno crescita esponenziale del settore immobiliare e commerciale, generando una economia di tipo puramente speculativo. Nel nostro caso esiste già una condizione di eccesso di offerta rispetto alla domanda abitativa e un aeroporto potrebbe ad esempio canalizzare investimenti esteri per l’acquisto della “seconda casa”.

Questa situazione richiede un attento monitoraggio dell’impiego di fondi pubblici che non esclude opportune azioni di contrasto politico e fiscale.

Luciano Fiordoni                            20.11.2010

Ambiente e poteri forti nella città di Paolo Berdini

Da Il Manifesto: 21.11.2010

Alberto Asor Rosa nel delineare i caratteri di un nuovo ambientalismo (manifesto del 17.11) sottolinea «il conflitto inesauribile e insanabile con i poteri forti dell’economia, della speculazione e dello sfruttamento». Concordo, e la sua analisi permette di ridare spessore all’elaborazione della sinistra. Provo ad articolare il ragionamento nel campo delle città e del territorio, dove si possono misurare quattro novità che hanno mutato i contorni del conflitto e impongono dunque di mutare strategia.
Innanzitutto la lacerazione dello storico “patto” tra cittadini e forze economiche dominanti.
Lo sviluppo delle città era affidato ai piani regolatori e la tutela dell’ambiente ai vincoli previsti dalle prerogative costituzionali dell’Articolo 9. Nonostante scempi e violazioni, c’era comunque un sistema di regole che garantiva un quadro di legittimità. Il neoliberismo ha sostituito ogni regola con gli “accordi di programma” che mutano caso per caso il disegno delle città e azzerano i vincoli paesaggistici. La proprietà fondiaria, un ristrettissimo numero di persone, edifica dove e come vuole.
La seconda novità riguarda il carattere teoricamente infinito dell’offerta di nuove costruzioni. Si continua a ricoprire di cemento l’Italia perché “c’è mercato”. Uno dei pilastri dell’economia liberale classica sono le regole del gioco e nell’Europa civile le nuove costruzioni vengono programmate salvaguardando gli interessi pubblici. Non ci sono altrimenti dubbi che se si costruisse sulle colline ancora integre della Toscana, in ogni valle alpina o sulle coste ancora scampate dal cemento, si troverebbero potenziali acquirenti nei 50 milioni di ricchi russi, nei 200 milioni di nuovi ricchi cinesi. Poi verranno gli indiani e i brasiliani.
Non c’è chi non comprenda il baratro che si è aperto nell’aver supinamente accettato la favola del “mercato”: rischiamo la cementificazione del paese e non serve a fermarla neppure la tragica serie di alluvioni e frane. Oltre all’insipienza culturale dei gruppi dirigenti della sinistra, si dovrà mettere a fuoco l’intreccio perverso tra i proprietari delle aree da urbanizzare, le grandi banche e l’informazione (Messaggero, Mattino, Corriere della sera, Tempo, Gazzetta di Parma e un’infinità di giornali locali).
La terza novità è una diretta conseguenza della sinergia tra le due precedenti. Se non ci sono più regole e se non esiste più un limite all’ipertrofia urbana, si sta creando un corto circuito economico che porterà al collasso il tessuto produttivo del paese. La speculazione fondiaria ha davanti una comoda autostrada per rendere edificabili i terreni agricoli. Vengono comprati a 10 – 15 euro al metro quadrato e non appena l’accordo di programma li rende edificabili raggiungono il valore di almeno 200 euro. Con dieci ettari di terreno che cambia destinazione, la speculazione si mette in tasca 20 milioni di euro senza nessun beneficio per la collettività perché non si crea neppure un posto di lavoro. Il lavoro, la ricchezza per le città e per tanti lavoratori si crea costruendo. In Europa obbligano a farlo su terreni già edificati, dove i valori immobiliari sono elevati e chi costruisce guadagna soltanto sulle sue capacità imprenditoriali. Chi mai investirà nel difficile mestiere dell’imprenditore o dell’artigiano se stando comodamente seduti può mettersi in tasca una fortuna?
E veniamo infine all’ultima tragica novità italiana. I comuni non hanno più risorse per realizzare servizi sociali, parchi, trasporti scuole. Per tenere in piedi i bilanci, i comuni e le loro società strumentali hanno fatto ricorso all’indebitamento sottoscrivendo quei titoli spazzatura che hanno portato al tracollo l’economia occidentale. Roma ne ha sottoscritti per oltre un miliardo di euro. Milano un’altra valanga, e così via. Afferma Loretta Napoleoni che le pubbliche amministrazioni «invece di cercare di risparmiare, sono andate dalle banche d’affari. La banca dice: tu devi pagare queste fatture per i prossimi due anni? Bene: me le compro io, ti do subito i soldi, e intanto emetto obbligazioni che poi vendo in borsa».
Per tenere in piedi i bilanci, poi, tutti i sindaci, di qualsiasi colore politico, affermano che l’unico modo è quello di moltiplicare all’infinito nuove costruzioni. Ma se non ci sono più soldi sarebbe interesse di tutti bloccare l’espansione senza fine che ha interessato le città italiane nell’ultimi sedici anni. Come si può pensare di costruire nuovi quartieri quando non si hanno neppure i soldi per costruire l’illuminazione pubblica e quando ci sono infinite aree produttive dismesse e case vuote? Se questa è la diagnosi, non bastano vecchie ricette. Occorre cambiare gioco e provo ad elencare le mosse che dovremmo mettere in campo al più presto.
Primo. Occorre bloccare per legge ogni espansione urbana, vincolando i comuni a ricollocarle all’interno delle aree già edificate e in stato di abbandono. Il settore delle costruzioni è un pilastro dell’economia dei paesi europei, ma per aprire una fase virtuosa anche in Italia occorre rompere per sempre il circuito infernale della rendita assoluta. Questa legge potrebbe partire dal basso, seguendo la proposta di Guido Viale, raccogliendo firme in ogni angolo dell’Italia violentata dal cemento e contrastata dai mille comitati spontanei. Secondo. Concludere per sempre la criminale stagione degli accordi di programma: basta un semplice articolo. Strillerà (molto) il manipolo di speculatori che nel periodo del trionfo berlusconiano hanno conquistato le città e distrutto l’ambiente. Terzo. Occorre restituire ai comuni – in un quadro di rigoroso controllo della spesa- i soldi tagliati per metterli in grado di governare le città. Non so se questa proposta sia collocabile nel comoda casella “dell’estremismo”: lascio questo inutile esercizio alla fallimentare politica di questi anni, utilizzata ancora di recente dopo la splendida vittoria di Pisapia nelle primarie di Milano. So soltanto che è l’unica ricetta per ristabilire un futuro al nostro paese: ridare voce al popolo derubato in questi anni dei beni comuni per eccellenza, le città e l’ambiente.
Prosegue il dibattito sul “che fare” per invertire la devastante tendenza in atto, nel mondo e in Italia. Tre cose da fare per partire dalle città. Il manifesto, 21 novembre 2010