L’aeroporto di Firenze e il mito dello sviluppo

Di Paolo Baldeschi, 21 luglio (anche su Eddyburg)

Sembrerebbe (il condizionale è necessario) che il governo, con il ministro Toninelli, voglia riconsiderare il progetto del nuovo aeroporto di Firenze che sarà esaminato nella Conferenza di servizi convocata per il 7 settembre cui parteciperanno 32 enti interessati. Atto finale che chiude le procedure e dà il via libera il progetto, secondo i vertici di Toscana Aeroporti, atto dovuto, ma di valore puramente procedurale secondo il Ministro, che invece vuole attendere i risultati di un’analisi costi e benefici, per l’aeroporto come per altri progetti di grandi opere.

Questo atteggiamento che sembra sensato (qui non voglio entrare in merito di altri comportamenti insensati del Ministro e del governo di cui fa parte) ha scatenato la reazione bipartisan del Pd e di FI, uniti come sempre nella lotta, in gara a chi fa da migliore supporto al miope, oltre che colluso, establishment locale. Miope perché non ha una minima idea di cosa significhi lo sviluppo di cui parla in continuazione e senza cognizione, supportato da una stampa locale che cade nel ridicolo quando propone (intelligente provocazione, secondo i sodali) addirittura un referendum sull’opera, dopo che Enac, Toscana Aeroporti e Regione Toscana hanno negato pervicacemente il dibattito pubblico, prescritto per legge. Niente dibattito, nessuna partecipazione, ma un referendum tra cittadini ignari cui sarebbe chiesto se vogliono il nuovo aeroporto che porta sviluppo e occupazione o preferiscono la situazione attuale che significa arrendersi alla nemica Bologna: questo sì che è autentico populismo!

Vediamo di riassumere per gli ignari cittadini, in attesa di eventuale referendum, solo alcuni punti cruciali che rendono illegittimo e non vantaggioso (se non per Toscana Aeroporti) il nuovo aeroporto, che non è un modesto ampliamento di quello esistente come continua a ripetere il Presidente Enrico Rossi.

Primo punto: l’iter precedente e seguente la Valutazione di impatto ambientale del progetto è stato illegittimo già a partire dalla variante del Pit di previsione della nuova pista annullata dal Tar della Toscana, per proseguire con la presentazione a Via da parte di Enac e Toscana Aeroporti di un Masterplan e non di un progetto definitivo come prescriveva la legge. Per sanare alcuni dei molti provvedimenti illegali, già segnalati dai comitati e in altri articoli su eddyburg, il governo Gentiloni ha approvato, ad hoc, nel 2017 il Decreto legislativo 104 che ha comportato la decadenza di non poche delle 142 prescrizioni cui era condizionato il parere favorevole alla Via. Ma non basta: come ciliegina finale, la Regione Toscana ha già annunciato per bocca del suo Presidente l’intenzione di utilizzare la Conferenza di servizi per provvedere a una variante automatica del Pit che vanifichi la sentenza del Tar, anche se la legge urbanistica regionale non lo consente, essendo in gioco beni paesaggistici e culturali: non solo sbagliano, ma anche perseverano.

Secondo punto: tra le modifiche alle prescrizioni permesse dal DL 104 vi è stata anche la composizione di un osservatorio preposto a controllare la realizzazione dell’aeroporto, dove sono stati eliminati i sindaci dei Comuni coinvolti, a favore di un unico “rappresentante locale”, Dario Nardella, Sindaco della Città metropolitana, strenuo sostenitore del progetto.

Il terzo punto è una balla: sono stati concessi 150 milioni pubblici per la realizzazione dell’aeroporto che andrebbero perduti. In realtà 50 milioni sono stati stanziati (non concessi), gli altri solo promessi. Poiché la normativa dell’Unione Europea non permette aiuti statali, sia per la tipologia dell’aeroporto di Firenze, sia per la sua prossimità a Pisa e Bologna, si è inventato l’escamotage di finanziamenti che andrebbero a opere complementari. Spacciando come complementare o di mitigazione la costruzione del nuovo Fosso Reale e di altre opere che solo la nuova pista rende necessarie, ma che attualmente funzionano egregiamente.

Quarto punto: il nuovo aeroporto migliorerà la situazione ambientale della piana: non si vede come, dal momento che sono previsti il raddoppio dei voli e vettori di maggiore dimensione (è noto che l’aereo è il mezzo di trasporto di gran lunga più inquinante a parità di chilometri percorsi).

Infine c’è la favola che sta alla base delle infinite lamentazioni, polemiche e invettive che da ogni parte vengono rivolte a chi mette in dubbio l’utilità pubblica di un nuovo aeroporto e preferirebbe il potenziamento di Pisa, che è già aeroporto internazionale, e un rapido collegamento tra questo e Firenze: la favola è “chi è contro il nuovo aeroporto è contro lo sviluppo di Firenze e della Toscana”. Questo mantra viene ripetuto quotidianamente dai politici del Pd e di FI in attività, dal sottobosco politico che ruota attorno ai partiti, dagli amministratori regionali, da Confindustria, dal Presidente di Firenze Fiera (“se non si fa l’aeroporto io non investo”, come se si trattasse di soldi suoi), un ritornello amplificato dalla stampa locale, pronta a raccogliere ogni esternazione in proposito, da personaggi conosciuti e sconosciuti.

Lo sviluppo, che sarebbe il grande beneficio dell’aeroporto di Firenze, è stimato dall’Irpet in 2.500 posti lavoro. Ammesso che questa stima sia credibile, al netto dei progressi tecnologici che intercorreranno nei prossimi anni, si tratterà per lo più di addetti ai bagagli, baristi, commessi, camerieri, taxisti e simili. E’ questo il lavoro qualificato di cui ha bisogno Firenze come l’Italia? E quale sarà l’impatto sull’economia fiorentina di masse di turisti che arriveranno con i voli low cost consentiti dalla nuova pista? Firenze ha realmente bisogno di gonfiare un’economia basata sulla rendita medicea? Di incrementare il turismo mordi e fuggi? Si vuole ulteriormente penalizzare i residenti dal centro storico a favore degli affitti turistici? E’ questo il conclamato sviluppo?

Se i fautori dell’aeroporto si informassero, dovrebbero sapere che in tutti i paesi di capitalismo avanzato (il nostro è tristemente arretrato), il capitale intangibile – fatto di ricerca e sviluppo, di informazione, di conoscenza tacita e formalizzata, di condizioni favorevoli alla creazione cluster tecnologici – ha ormai da più di 25 anni superato nello stock degli investimenti il capitale materiale, fatto di edifici, macchine, infrastrutture; che capitale intangibile e occupazione qualificata sono strettamente legati; che la spesa pubblica italiana per l’istruzione come quella privata per ricerca e sviluppo è la metà di quella europea con una modestissima crescita annuale; che siamo penultimi nell’UE per numero di laureati seguiti solo dalla Romania; che alla base di uno sviluppo che produce lavoro di qualità, vi è l’economia della conoscenza. E se non leggono e non si informano, per lo meno dovrebbero comprendere le ragioni della vitalità dell’economia dei distretti che pure hanno sotto il naso. Non si tratta solo di flessibilità, decentramento, capacità di adattarsi ai cambiamenti della domanda. I distretti, sono stati storicamente e sono tuttora formidabili produttori di ciò che gli economisti definiscono “conoscenza tacita”. Un processo cumulativo, aperto, socialmente, condiviso, che ha portato a risultati di eccellenza. Ma i nostri preferiscono le infrastrutture pesanti e gli sconvolgimenti territoriali e ambientali, perché così vogliono i politici e le banche. Si preoccupano dei migranti in entrata e non dei 50.000 giovani, di cui 10.000 laureati che ogni anno lasciano l’Italia: perché sono choosy, vale a dire che non vorrebbero per tutta la vita trasportare pizze a domicilio e fare i camerieri stagionali. E purtroppo non hanno la fortuna di fare parte dell’establishment e di goderne eredità e rendita politica.

 

 

 

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