Rassegna Stampa

11 – 20 settembre 2013

L’inchiesta sul Tunnel TAV monopolizza la stampa

Regione: presentato il nuovo Piano Rifiuti

Fucecchio: il depuratore del Consorzio del cuoio gettava i liquami in Arno

La mobilitazione popolare salva dalla vendita la tenuta di Suvigliano

Altre notizie (importanti) dalla Toscana

SEGNALAZIONI

 

Il Comitato NO TUNNEL TAV porta a Roma la questione fiorentina

cantiere_tav_pino_marzoIl progetto di Passante TAV va cancellato, le risorse devono essere destinate al trasporto regionale.

COMUNICATO STAMPA, Firenze, 20 settembre 2013

La vicenda giudiziaria del Passante TAV di Firenze sta dimostrando che quanto denunciato da anni da cittadini e comitati è non solo vero, ma apre addirittura una vista inquietante sulle istituzioni locali e nazionali, fa un ritratto devastante di una imprenditoria parassitaria che ha ormai colonizzato i partiti e usa amministrazioni e amministratori solo per garantire livelli eccellenti di profitto, distruggendo sostanzialmente ogni progettualità pubblica e ignorando le necessità sociali che dovrebbero giustificare le opere pubbliche.

Le indagini della Magistratura, in particolare le intercettazioni telefoniche, aprono uno squarcio inequivocabile sul mondo di interessi ben lontani dai dei cittadini.

Non è più solo la politica il problema da risolvere, ma il groviglio di interessi del complesso politico/economico/mafioso che controlla ogni attività pubblica e distrugge le stesse imprese che potrebbero produrre ricchezza, mortifica ed elimina posti di lavoro vivo, impedisce una economia al servizio delle persone.

In questo senso il Comitato NO TUNNEL TAV vuol avviare una collaborazione più stretta con alcuni suoi membri che nel frattempo sono stati eletti in Parlamento: Alfonso Bonafede e Maurizio Romani. Ovviamente il Comitato sarebbe ben contento di collaborare anche con altri gruppi disponibili.

Le iniziative che si intende portare avanti sono:

  • presso il Ministero dell’Ambiente per far rilevare soprattutto le gravi carenze progettuali del Passante TAV, in particolare la mancanza totale di VIA (Valutazione di impatto ambientale) per la stazione AV di Foster, la cui procedura si basa su un clamoroso falso in atto pubblico come ammesso dagli stessi avvocati di Italferr e Nodavia durante il dibattimento per la causa civile per “danno temuto da nuova opera” intentata da oltre un centinaio di cittadini.
  • sempre presso il Ministero dell’Ambiente per chiarire la questione delle terre di scavo prodotte dalla fresa che, secondo l’ultimo decreto “del fare” che aggiorna e supera il decreto/pateracchio emanato nell’agosto 2012, per essere dichiarati “non rifiuti” devono essere sottoposti ad analisi specifiche e aggiornate che non risultano nemmeno previste nei lavori fiorentini
  • presso il Ministero dei Beni Culturali per quanto riguarda la mancanza di nulla osta paesaggistico: infatti nel marzo scorso, mentre Italferr e Nodavia tentavano di aggirare le prescrizioni già avanzate dalla Soprintendenza con piccole variazioni in progetto esecutivo (circostanza già emersa nell’indagine svolta) il Ministero stesso e la soprintendenza con apposita nota tecnica intimavano ai costruttori l’obbligo di effettuazione dell’iter integrale per l’ottenimento dei nulla osta in questione.
  • Ancora presso il ministero dell’Ambiente per chiedere provvedimento conseguente ai rilievi confermati sull’attività dannosa prevista nelle operazioni di scavo con la fresa: la stessa deve essere in tutto o in parte sostituita prima di un eventuale ripresa dei lavori.

La vicenda fiorentina evidenzia la necessità di rivedere tutta la filiera dei controlli e gestionale delle grandi opere in Italia; dalle indagini risulta che l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici doveva essere messa sotto controllo dalla “squadra” di Lorenzetti e Bellomo.

Anche le stesse Ferrovie dello Stato – SpA 100% del Ministero del Tesoro – devono tornare sotto il diretto controllo pubblico ed avere comportamenti trasparenti, finalizzati ad un efficace trasporto pubblico e non a garantire profitti per le ditte appaltatrici di lavori.

Oggi più che mai le richieste del Comitato non possono essere eluse:

  1. abbandono del progetto e annullamento di ogni contratto (speriamo si abbia il pudore di non parlare di “penali” da pagare da parte pubblica!). Uno degli effetti collaterali di questo progetto che pende come una spada di Damocle è il deprezzamento degli immobili che sarebbero a rischio tunnel: migliaia di famiglie si troverebbero in difficoltà se volessero vendere il loro appartmanento.
  2. investimento dei fondi stanziati nel potenziamento delle linee di superficie, ricordando che esiste una proposta di progetto elaborata dal Comitato e Università di Firenze. Un seria decisione in tal senso vedrebbe realizzato il progetto in 4 anni, comprese le procedure di elaborazione progettuale e di VIA.

A chi ci dice che gli investimenti dipendono dalle Ferrovie e non dagli enti locali ricordiamo che le FS stesse sono struttura controllata dallo stato, gestiscono e usano soldi pubblici. Una politica non prona agli interessi esclusivi dei costruttori avrebbe già deciso che le risorse esistenti sarebbero andate al trasporto pubblico che langue in condizioni pietose, dove il materiale rotabile ha scarsissimo rinnovamento, molte stazioni vengono chiuse con conseguente depotenziamento del sistema.

Il Comitato guarda ancora con stupore come i Sindaci di Firenze e del Valdarno sappiano solo trattare “compensazioni” e non pretendere gli stessi fondi pubblici per la soddisfazione delle necessità delle città che amministrano.

 

Comitato NO TUNNEL TAV Firenze

Se finisce la terra

avatars-000022990785-ytz6xr-original-586x441Intervista di Franco Marcoaldi con PASCAL ACOT, La Repubblica, 16 Settembre 2013.

Era nelle cose che la nostra inchiesta sui rischi della “fine del limite” affrontasse anche il limite ultimo e ineludibile rappresentato dalla Terra, verso la quale continuiamo a comportarci secondo una logica di rapina cieca e scriteriata. Per rendersene conto basta leggere, tra i tanti, i bei libri che Pascal Acot ha pubblicato in Italia da Donzelli, Storia del clima e Catastrofi climatiche e disastri sociali. Ma la posizione del ricercatore francese è tanto più interessante perché non si appiattisce sulle tendenze ecologiste oggi più in voga. Con le quali anzi, spesso e volentieri, polemizza apertamente.

«Se pensiamo al nostro rapporto con la Terra, il problema del limite si pone sia in materia di risorse (energetiche, minerali, biologiche), che di crescita demografica. Entrambe oggetto di valutazioni controverse. Secondo alcuni, grazie a tecnologie sempre più raffinate, l’umanità sarà comunque in grado di trovare nuove risorse e occupare nuovi spazi. Dunque la crescita, in termini di ricchezza, non cesserà mai. Si tratta di una semplice credenza, perché nessun dato scientifico ci consente di suffragare tale ipotesi. Per contro, coloro che considerano le risorse limitate si appoggiano su costanti di ordine termodinamico: il globo terrestre è un sistema fermo perché non può scambiare materia con il resto dell’universo, pur utilizzando l’energia di calore che proviene dal sole. L’obiettivo dunque diventa quello del riciclaggio o della scoperta di nuovi tipi di risorse, ma non sempre questo è possibile. Senza contare che il rinnovamento naturale di alcune di esse, come per esempio il fosforo sotto forma di fosfati, è troppo lento. Questa posizione è fatta propria dai fautori delle politiche di austerità e dai partiti ecologisti, che difendono l’ossimoro della cosiddetta “abbondanza frugale”».

Sembrano due posizioni assolutamente
inconciliabili.
«Almeno in linea di principio si può però superare tale antagonismo ponendo la questione in questi termini: le risorse del pianeta non sono affatto illimitate, ma non sono neppure limitate in modo fisso e predeterminato. Bisogna far propria un’idea dinamica di limite, utilizzando al meglio i progressi compiuti e concentrando l’attenzione su una gestione razionale delle risorse. Innanzitutto proscrivendo tutte quelle produzioni che soddisfano soltanto bisogni immaginari o dettati da una mera logica di profitto e sopraffazione. Penso ad esempio agli Ogm, alle monocolture su base industriale che mettono in ginocchio le coltivazioni tradizionali. E penso anche al ritardo criminale in materia di transizione energetica al fine di rimpiazzare le risorse fossili con risorse rinnovabili. Senza contare, da ultimo, gli effetti disastrosi delle delocalizzazioni e della mondializzazione, a partire dai costi spropositati dei trasporti».

Lei insomma sposta l’attenzione dal rapporto ecologico uomo-natura a un piano più squisitamente politico.
«Assolutamente sì. La qualità delle relazioni tra gli esseri umani e la natura è strettamente legata al rapporto che gli esseri umani instaurano tra di loro. Il saccheggio delle risorse umane si accompagna sempre al saccheggio delle risorse naturali. Se i rapporti sociali sono brutali e violenti, allora si verifica ciò a cui assistiamo oggi: la razzia indiscriminata dell’ambiente e la devastante mercificazione del patrimonio comune. Al contrario, in un mondo in cui prevalessero rapporti sociali più equi e rispettosi, si potrebbero creare le condizioni di un rapporto più armonioso anche con il pianeta».

Da qui anche una sua vis polemica contro certo ecologismo.

«Io riconosco a tutto il movimento ecologista uno straordinario merito: quello di aver posto all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il rischio enorme dell’attuale situazione. Però non condivido alcuni aspetti dell’ideologia ecologista, lo svilimento dell’umanità rispetto a una fantasmatica “natura” che va protetta come una reliquia. Ad esempio, i fautori della decrescita felice non vedono che il problema vero è quello della ripartizione più equa delle risorse. Oppure, tanti ambientalisti pensano che tutto possa risolversi con un generico appello alla coscienza individuale. Ma che senso ha affermare che l’Uomo, in quanto tale, è colpevole? Che siamo tutti colpevoli in eguale misura? Che tutto si risolve attraverso il mutamento delle nostre abitudini? Non è vero. E sono i numeri a dircelo. Io posso anche convertirmi all’auto elettrica, ma il mio gesto risulterà ininfluente se si continua a perseguire la logica folle della mondializzazione nella circolazione delle merci, con l’emissione spropositata di combustibili fossili necessaria al loro trasporto. Mi chiedo: quando finirà l’assurdità di gamberetti pescati nella baia di Baffin, sgusciati in Marocco e impacchettati in Danimarca che arrivano poi sugli scaffali dei nostri centri commerciali? Magari ad opera di quelle stesse catene distributive che hanno anche la faccia tosta di spingerci ad acquistare buste di plastica ecologiche con il logo del Wwf».

Lei però è anche molto critico sull’eventualità che la politica affidi le sue scelte a quanto indicato dalla comunità scientifica.
«È un’idea rovinosa. Intanto perché la scienza non è affatto neutrale. È condizionata da mille fattori: i pregiudizi del momento, l’ideologia delle classi dominanti, la logica del profitto, il percorso biografico degli scienziati, gli investimenti verso questo o quel settore di ricerca a scapito di altri. No, io continuo a credere che solo all’interno di un autentico processo democratico gli uomini possano finalmente riappropriarsi del loro destino, e invertire la rotta che ha condotto a mille catastrofi: da Bhopal a Chernobyl. I veri produttori della ricchezza – coltivatori, tecnici, allevatori, pescatori – sono stati espropriati degli strumenti necessari per intervenire sui processi che hanno portato a quelle sciagure. E questo è accaduto sia all’interno delle società cosiddette socialiste che in quelle liberali. Ciò detto, certo, la politica deve saper ascoltare quanto la scienza le dice. E la scienza ci dice in modo inequivocabile che l’attività dell’uomo influisce sul clima del pianeta e che, se non si fa nulla per bloccare il riscaldamento globale, si va verso il disastro».

Lei ritiene che siamo già arrivati a un punto di non ritorno?
«Posso solo dirle questo: il tempo della politica e quello dell’ecologia non combaciano. La politica ha uno sguardo sempre più corto, mentre, se anche noi oggi prendessimo finalmente le decisioni giuste, gli effetti benefici si vedrebbero soltanto dopo molto tempo, a causa delle inerzie ecologiche su scala planetaria. Provo a spiegarmi con un’immagine che ho già utilizzato in altre occasioni: è come se fossimo a bordo di un camion e, nell’imminenza di un potenziale incidente, decidessimo all’improvviso di frenare. Ma l’inerzia è tale che il camion, prima di fermarsi, percorrerà ancora un bel tratto di strada. Inutile aggiungere che non stiamo affatto frenando, ma al contrario
continuiamo a correre a rotta di collo….».

Quindi?
«Quindi, sulle cause astronomiche dell’andamento climatico non possiamo certo intervenire, ma sui fattori che dipendono da noi sì: in particolare, sulle emissioni di gas a effetto serra. Non è detto che tutto ciò sia sufficiente, ma è evidente che non si può assolutamente eludere quel passaggio. L’ho già scritto e lo ripeto qui: siamo nella stessa situazione di Pascal rispetto a Dio; pur non esistendo la prova, lui scommise sulla sua esistenza. E noi a nostra volta dobbiamo scommettere che non sia troppo tardi per salvare la specie umana e il pianeta Terra. Anche se le confesso che, a momenti, mi sembra una scommessa disperata».

 

La folle giostra delle grandi opere

di PAOLO BERDINI , Il manifesto, 13 settembre 2013.

Un Paese che guarda al futuro deve avere una struttura di programmazione pubblica in grado di avere il controllo del quadro complessivo delle opere da realizzare in coerenza con l’Europa. E al variare dei parametri in gioco questa struttura dovrebbe essere in grado di compiere scelte nell’interesse generale.

Ritorna dunque il nodo scorsoio cui l’Italia è stata appesa dalle scellerate politiche di deregulation che hanno cancellato i pochi strumenti di pianificazione dei trasporti che l’Italia si era data con molta fatica. Era infatti costata venti anni di discussione l’approvazione nel gennaio 2001 del Piano generale dei trasporti e della logistica, un quadro certo imperfetto, ma simile a quelli in uso negli altri paesi europei, e cioè una bussola per orientare il sistema paese. Nel dicembre dello stesso anno nasce la cultura delle «grandi opere» senza alcuna coerenza tra loro ma guidate dagli appetiti delle lobby: Con il secondo trionfo elettorale berlusconiano nasce la legge Obiettivo (443 – dicembre 2001). Con la consueta bravura mediatica subito amplificata dalla disinformazione imperante, quella decisione fu descritta come il passaggio da una “visione burocratica” alla modernità. In realtà era il contrario: si colpiva al cuore la già debole funzione pubblica e ci allontanavamo dai paesi che conservano gli strumenti programmatori.

Un solo esempio. Il primo programma delle infrastrutture strategiche del dicembre 2001 conteneva 115 opere mentre attualmente esse sono diventate 390: un gigantesco puzzle senza coerenza e efficacia. E mentre il primo fiume di soldi pubblici che doveva sostenere le opere spesso inutili era giustificato da segnali economici flebili ma positivi, dal 2008 siamo piombati nella più grave crisi economica mondiale. Eppure tutto continua peggio di prima: il primo programma prevedeva di 126 miliardi pubblici; oggi sono diventati 367. Contemporaneamente si continua a colpire senza pietà il welfare urbano e le reali condizioni di vita dei cittadini.

A causa della crisi economica mondiale, il 21 marzo 2012 il governo portoghese ha annunciato l’abbandono dell’alta velocità ferroviaria e sono note le disastrose condizioni dei paesi dell’Est europeo. La fantastica spina dorsale dell’Europa – così è stata descritta – Lisbona-Kiev si è ridotta alla modesta tratta Torino – Lione. E addirittura il 12 luglio di quest’anno il Sole24Ore riporta la seguente affermazione di Mario Virano, commissario di governo per l’opera: «La ratifica del trattato internazionale da parte di Francia e Italia e l’ok dell’Europa a garantire il 40% di copertura dell’opera» sono le condizioni per partire. Condizioni senza le quali, aggiunge il Sole, «probabilmente i francesi potrebbero tirarsi indietro forse anche prima degli italiani».

Dunque abbiamo una grande “operetta” inutile di fronte ad una prospettiva del corridoio del San Gottardo in grado di garantire l’ancoraggio tra nord e sud Europa entro pochi anni. Se avessimo quella struttura pubblica di controllo scientificamente competente e indipendente dalle lobby che fu cancellata dalla cultura berlusconiana ci sarebbero le condizioni per ripensare il sistema di trasporto transnazionale alla luce delle mutate condizioni. Non se ne vedono le condizioni. Il ministro Lupi presidia la cassaforte per le grandi opere e il governo pensa solo a misure di polizia contro la popolazione della Val di Susa. Ma non è con la criminalizzazione di tutte le persone che non sono d’accordo con i cacciatori di soldi pubblici che si risolvono i problemi di prospettiva del sistema Italia. Bisogna invece prendere atto che è la deregulation che ha dominato il paese negli ultimi 20 anni la causa principale della mancanza di un moderno sistema di infrastrutture e del fallimento economico in cui ci dibattiamo. E’ questa l’unica prospettiva per uscire dal tunnel.