TERRITORI Manifesto 6 gennaio 2011-02-06
CONSUMO DI SUOLO, UNA LEGGE PER FERMARLO
di Piero Bevilacqua
Ci sono almeno due buone ragioni per sostenere la proposta di Carlo Petrini (Repubblica del 18/1/2011) in consonanza con quanto già scriveva Paolo Berdini (il manifesto 21/11/2010) nella quale il presidente di Slow Food invoca una moratoria generale nel consumo di suolo in Italia. La prima di questa riguarda la natura del fenomeno. La distruzione del territorio, la cementificazione del suolo agricolo è pressoché irreversibile. Una volta ricoperto di asfalto o di manufatti quel territorio sarà perduto all’agricoltura e all’ambiente chissà per quante generazioni. La partita che si gioca sul territorio ha un’ampiezza temporale che trascende la nostra vita. Petrini spiega bene le ragioni profonde di questa difesa. Il manifesto del 28/11/2010 ha dedicato ampio spazio al tema, del «nuovo ambientalismo» introdotto da Asor Rosa e Viale. Ma occorre ritornare sull’argomento.
Ciò che occorre dire con chiarezza, sul piano strettamente economico, è che una tendenza inarrestabile dall’industria manifatturiera è quella di produrre merci con sempre meno valore. L’aumento crescente della produttività, l’entrata in scena sul mercato mondiale dell’industria cinese e asiatiche, del Brasile, fra poco dell’India, stanno già producendo la riduzione del fenomeno della scarsità che dà valore alle merci. I capi di abbigliamento che si trovano sulle bancarelle anche a pochi euro testimoniano di questa realtà già in atto. Il destino della produzione manifatturiera sarà quello di inseguire una novità, un’unicità di prodotto nel mare delle merci standardizzate con sempre meno valore.
Per questa ragione, in Italia, dovremmo guardare al nostro territorio come a un patrimonio destinato a vedere crescere esponenzialmente il suo valore, che nella nostra epoca tenderà sempre più a rifugiarsi nei servizi e nei beni industrialmente non riproducibili. Il pregio del territorio da noi è già elevato, in certi casi è unico per ragioni naturali, storiche ed estetiche, ma diventerà ben presto inestimabile per via della domanda mondiale che ne farà richiesta. Milioni di nuovi ricchi, russi, cinesi, brasiliani, ecc. vorranno ben presto possedere una villa sulle Langhe, in Val d’Orcia, nelle Cinque terre, sul Lago di Como, vicino ai templi di Paestum o di Agrigento, per passarvi una settimana l’anno o per godersi una dorata vecchiaia. Ma verranno anche per poter godere dei nostri formaggi, del sapore della nostra frutta, per l’eccellenza dei nostri vini, per la varietà delle nostre cucine locali. Ci chiederanno tutto ciò che è frutto del nostro suolo agricolo, quello che noi continuiamo a distruggere per alimentare lo sviluppo. È evidente, dunque, che abbiamo di fronte una grave minaccia, ma anche una grande opportunità. Il nostro suolo diventa sempre più prezioso e occorre pensare a forme collettive di accoglienza per chi ne fa domanda.minaccia, ma anche una grande opportunità. Il nostro suolo diventa sempre più prezioso e occorre pensare a forme collettive di accoglienza per chi ne fa domanda.minaccia, ma anche una grande opportunità. Il nostro suolo diventa sempre più prezioso e occorre pensare a forme collettive di accoglienza per chi ne fa domanda.minaccia, ma anche una grande opportunità. Il nostro suolo diventa sempre più prezioso e occorre pensare a forme collettive di accoglienza per chi ne fa domanda.
Ma dobbiamo trovare forme concertate di decisione democratica del suo uso – non solo a livello locale – per rispondere a una così vasta ed elevata pressione.
La seconda ragione per sostenere la proposta di Petrini riguarda la modalità del fare oggi politica. Occorrerà ritornarci, ma intanto chiediamoci: che cosa possono fare le tante organizzazioni attive oggi nei territori del nostro Paese, spesso protagoniste di esperienze di vera democrazia partecipata a livello comunale? Come superare la drammatica separatezza tra la straordinaria, benché frantumata e dispersa, conflittualità sociale e la sua rappresentazione e voce nel cuore dello Stato? Occorre allora pensare a strumenti sempre più mirati di pratica politica, in cui dalla società si entra direttamente nelle istituzioni, mirando a trasformare i bisogni popolari e le ragioni delle lotte in leggi generali. Aggiungere alla vasta e sinistra sociale disseminata nei territori, o divisa in varie istituzioni, la capacità di percorrere il tratto finale del conflitto politico: ossia la capacità di imporre scelte di governo.
La mobilitazione per l’acqua pubblica, ad esempio, va in tale direzione. Bisogna rammentare che la nostra Costituzione prevede la legge di iniziativa popolare: uno strumento che gli esperti dovrebbero aiutarci a utilizzare anche per la salvezza del nostro territorio, bene comune per eccellenza. È vero che a valle si troverà poi la strozzatura di un Parlamento indifferente o apertamente ostile. Ma non bisogna dimenticare che le lotte così finalizzate hanno il merito di unificare le forze, di radunare conflitti e speranze sotto un orizzonte comune. E al tempo stesso schiudono tra le masse popolari e il ceto politico di governo divaricazioni sempre più nette e alla lunga insostenibili.