«POL POT IN TOSCANA»

Untitled-1 copydi Paolo Baldeschi.

Il 30 settembre è apparso sul Foglio un articolo del vicedirettore Alessandro Giuli che prende di mira l’assessore all’Urbanistica della Regione Toscana – Anna Marson – paragonata niente di meno che a Pol Pot, un dittatore sanguinario che nell’arco di pochi anni ha sterminato metà del popolo cambogiano. L’articolo sul Foglio, ben undici pagine di falsi e di insinuazioni velenose, ha già avuto un’efficace risposta dal presidente della Regione Toscana. Tuttavia, commissionato da Giuliano Ferrara (e a Ferrara commissionato da chi?) è solo l’ennesimo attacco sulla stampa di una campagna contro il Pit adottato; una campagna che ha visto il mondo del vino – salvo qualche voce isolata – schierarsi compatto contro il Piano, che, secondo i vignaioli toscani impedirebbe l’impianto e il reimpianto dei vigneti. Un piano autoritario – sempre secondo i vignaioli – che imporrebbe perfino quali vitigni scegliere e dove metterli: si tratta, ovviamente, di balle, ma che, accompagnate da fosche previsioni di chiusura d’imprese e di disoccupazione, colpiscono l’immaginazione di un pubblico ignaro di cosa sia il Pit.

Le ragioni della rivolta contro il Pit sono sostanzialmente tre e l’una non esclude l’altra. Il primo motivo, di natura psicologica, corrisponde a un riflesso di tipo pavloviano. Non pochi agricoltori sono stati in passato angariati dai Comuni con provvedimenti illegittimi; è bastato, perciò, qualche accenno di limitazione per fare scattare una reazione allergica: tanto virulenta quanto  ingiustificata dal momento che il Pit non impone e non prescrive niente al mondo dell’agricoltura. Il secondo motivo è che gli agricoltori sembrano non inquadrare il nocciolo della questione, cioè dove sta il loro interesse. Il Pit, infatti, per quanto riguarda il mondo dell’agricoltura ha un taglio esclusivamente promozionale, si rivolge cioè ai programmi settoriali della Regione e non agli strumenti urbanistici dei Comuni, (dei quali la nuova legge urbanistica, anch’essa in attesa di approvazione, esclude ogni competenza sulle scelte colturali). Gli agricoltori, perciò, piuttosto che paventare inesistenti vincoli del Piano, dovrebbero preoccuparsi di dove e di come sono distribuite le risorse finanziarie, cioè degli orientamenti e delle scelte del Programma di sviluppo rurale 2014-2020, in corso di gestazione e facente capo all’assessore all’agricoltura, Gianni Salvadori.

Il terzo motivo è di natura politica: la protesta degli agricoltori contro il Pit è stata cavalcata dall’assessore all’agricoltura che si è messo alla testa dell’opposizione al Piano; dimenticando che il Piano – per ciò che riguarda le direttive e la disciplina rivolta al mondo rurale – è stata concordato parola per parola con i suoi uffici e che lui stesso lo ha approvato in giunta senza aver niente da obiettare. Difficile dire se l’assessore stia a capo o dietro alla protesta; certo è che non vuole che il Pit, con le sue direttive, condizioni il Piano di sviluppo rurale e, volente o meno, fa parte di uno schieramento che attacca il presidente Enrico Rossi colpevole di una politica un po’ più di sinistra rispetto a quella renziana. Può essere una tattica di logoramento, tuttavia il  bersaglio grosso, è l’approvazione del Pit rimandata alla prossima legislatura, dove tutto può cambiare: non più Marson, la nuova legge urbanistica cassata e la politica regionale ancora più spostata verso le grandi opere, le autostrade, gli inceneritori, ecc. D’altronde, Salvadori, nel cui  curriculum vanamente si cercherebbe qualche competenza rispetto ai problemi del mondo agricolo, è un sostenitore dell’agro-industria; è, per fare un esempio, un convinto supporter  del progetto della mega-centrale a combustione di biomasse, “riconversione” dell’ex zuccherificio Sadam di Castiglion Fiorentino – un inceneritore mascherato.

Rimane il rimpianto che anche quella parte del mondo toscano che era o sembrava più aperta al cambiamento e più consapevole che un paesaggio sano, ricco di testimonianze e bello, aiuta a vendere i prodotti ed è un valore economico prezioso – ad esempio il Consorzio Chianti Classico, che ha pur sempre una fondazione per la tutela del territorio, – si sia accodata acriticamente alla guerra scatenata contro il Piano; una operazione che mira soprattutto alla distruzione personale dell’assessore Marson; ciò che forse non è “polpottismo”, ma sicuramente è bieco stalinismo.

 

2 thoughts on “«POL POT IN TOSCANA»

  1. Vorrei esprimere tutta la mia solidarietà di cittadino comune all’assessore Marson, che stimo e rispetto, di fronte a questa mostruosa campagna di diffamazione a mezzo stampa, evidentemente basata sul METODO BOFFO.

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