Difendiamo la Valtiberina toscana.

villa BenedettiContro il progetto di un mega-maneggio in pieno vincolo paesaggistico.

NB: La “ZONA LIMITROFA ALLA CITTÀ DI SANSEPOLCRO” è vincolata ex legge 1497/1939, dal 1962, con la seguente motivazione: la zona predetta ha notevole interesse pubblico perché, costituita dalle colline a monte della città di Sansepolcro, disseminate di ville con giardini e parchi, di boschi e terreni coltivati, forma un quadro naturale meritevole di particolare tutela dal quale si gode il belvedere della sottostante città.

Comunicato del Comitato per la Difesa Paesaggistica delle Colline di Sansepolcro.

“Apriremo un fondo che potrà arrivare fino a due milioni, e inseriremo un articolo all’interno della nuova legge urbanistica, che approveremo prima delle ferie, per finanziare i Comuni che vogliono abbattere gli ecomostri, quelle strutture che attentano alla bellezza del nostro paesaggio. Cioè un bene collettivo che abbiamo avuto in eredità dai nostri antenati e che dobbiamo garantire alle future generazioni. A me questa Toscana piace, è ancora bella. Lavoriamo tutti insieme, Regione ed enti locali, per mantenere la nostra bellezza. Per poterlo fare al meglio approveremo prima delle ferie una nuova legge urbanistica che metterà fine al consumo di territorio e stabilirà la non edificabilità nelle aree agricole ed entro Settembre approveremo il piano del paesaggio con 365 aree vincolate che coprono quasi il venti per cento del territorio regionale. Vogliamo poi incentivare i Comuni ad elaborare Piani Strutturali di zona perché con una pianificazione allargata si possono tutelare meglio le aree di pregio”.

Queste le affermazioni di principio espresse dal Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi nel corso di un Convegno dall’eloquente titolo “Ecomostri?”, tenutosi presso la Camera di Commercio di Livorno lo scorso 27 luglio. A quella conferenza prese la parola anche l’Assessore all’Urbanistica della Regione Arch. Anna Marson che chiosò: “Il problema della Toscana, più che gli ecomostri, è la trasformazione del nostro paesaggio, non sempre attenta come invece dovrebbe essere. Non c’è la necessaria attenzione alla trasformazione del nostro territorio: abbiamo costruito aree industriali lungo i fiumi, nuove urbanizzazioni vicino a mura medievali, piattaforme ricettive lungo la costa. C’è certamente un problema di regole, ma c’è anche una questione culturale di attenzione e sensibilità che la pratica dei condoni ha disincentivato”.

Come è possibile non condividere le parole e le preoccupazioni espresse dal Presidente Rossi e dall’Assessore Regionale Marson, riportate dal quotidiano on line “Toscana Notizie”? La cronaca a riguardo ogni giorno disegna un quadro sconfortante fatto di abusi, scempi e attacchi al territorio, all’ambiente, al paesaggio della nostra Regione e dell’intera Penisola. In questi mesi abbiamo letto con sgomento dello sbancamento delle protette colline di Capoliveri all’Elba, dei progetti di enormi impianti di stoccaggio cereali in Val di Chiana, della gigantesca centrale a biomasse da 51 MW di Castiglion Fiorentino, del proliferare di essiccatoi e rilevanti impianti per la tabacchicoltura a ridosso delle colline di Anghiari, che potrebbero mettere a rischio la salute dei suoi abitanti e che di certo minano l’alto valore paesaggistico di una delle più belle cittadine del Centro Italia. La lista degli attacchi al nostro patrimonio ambientale è dolorosamente lunga e a farne le spese, come sempre, sono gli inermi cittadini che giorno per giorno assistono al progressivo depauperamento di beni e risorse comuni di vitale importanza, sacrificati spesso sull’altare del contagioso profitto senza regole. Non è un caso che la Toscana sia tra le Regioni in Italia con il più alto numero di Comitati Civici e Associazioni (solo per la difesa del paesaggio se ne contano più di 70), sorti negli ultimi anni in forma spontanea proprio per contrastare e combattere dal basso abusi e attacchi al notevole patrimonio ambientale e paesaggistico della nostra Regione. Abusi e attacchi in preoccupante ascesa che sono drammaticamente sotto gli occhi di tutti.

Anche il Comitato di Difesa Paesaggistica di Sansepolcro da tempo porta avanti una battaglia a difesa dei beni comuni del nostro territorio e dei valori paesaggistico-ambientali rappresentati dalle nostre colline. A tal riguardo, esprimiamo alle Autorità competenti la viva preoccupazione circa la nuova richiesta (la quarta in quattro anni) di parere preventivo inoltrata recentemente al Comune di Sansepolcro per l’edificazione di un Maneggio-allevamento di cavalli di notevoli dimensioni, sulle vincolate colline della nostra Città. Si tratta senza mezzi termini dell’ennesimo attacco al nostro pregevole patrimonio collinare. Infatti, come tutti sanno, simili ipotesi edificatorie hanno già subito in passato due dinieghi della Soprintendenza di Arezzo, che doverosamente evidenziò le incompatibilità di interventi edilizi così rilevanti, che contrastavano con la Legge Regionale n.1 del 2005, con il PIT e con il PTC.

Analizzando a fondo il vigente Piano Strutturale adottato dal Comune di Sansepolcro con Deliberazione n.36 del 17/04/2009 e definitivamente approvato con Deliberazione n. 147 del novembre 2010, emergono – a nostro parere – possibili ulteriori incompatibilità anche rispetto alla normativa del P.S. stesso. Incompatibilità che, se dovessero essere davvero riscontrate dalle Autorità competenti in materia urbanistica, non dovrebbero a maggior ragione consentire l’edificazione ex novo di strutture di tali e rilevanti dimensioni in aree sottoposte a vincolo paesaggistico: aree collinari perfettamente conservate ricadenti nella U.t.o.e. N. 3, che per il loro alto valore sono annoverate tra le invarianti strutturali del P.S. in vigore, e che rientrano tra le 365 aree regionali di maggior pregio paesaggistico del nuovo PIT della Toscana, sopra citate dallo stesso Presidente Rossi. Indichiamo solo a titolo esemplificativo, una delle incompatibilità al P.S. individuata nei mesi scorsi dalla locale Commissione Paesaggistica Comunale che, riunitasi per valutare la compatibilità dell’ultimo progetto del 2012 (il terzo in ordine di tempo inoltrato agli uffici competenti), dette parere negativo. La Commissione Paesaggistica Comunale evidenziò nel suo parere negativo espresso nel gennaio 2013 vari elementi di incompatibilità sul terzo progetto, tra cui spiccava quello inerente il divieto a modificare la piccola strada interpoderale per accedere alle nuove ed enormi strutture da edificare. Scriveva nel suo parere negativo la Commissione Comunale per il Paesaggio: “la viabilità esistente risulta oggetto di alterazioni nella sezione trasversale ed in contrasto con l’Art. 57 delle NTA del Piano Strutturale”. Leggendo l’articolato riguardante le Norme Tecniche di Attuazione del P.S. di Sansepolcro, emergono – sempre a nostro modesto parere – altri possibili elementi di incompatibilità che, verosimilmente, collidono con molteplici suoi articoli: Art. 1 – 2 – 6 – 15 – 20 – 28 – 38 – 41 – 48 – 52 – 59 – 61 – 75. Incompatibilità intrinseche inevitabilmente contenute, lo ripetiamo per l’ennesima volta, in progetti di siffatta natura e dimensioni, ricadenti in aree collinari protette da Decreti Ministeriali, Leggi e Norme Regionali, Provinciali e, a quanto pare di capire, anche Comunali.

Il Comitato di difesa paesaggistica, per scongiurare possibili errori di interpretazione, chiede formalmente ai competenti Responsabili dell’Ufficio Urbanistica di Sansepolcro, ma anche ai Responsabili di settore a livello provinciale e regionale, che venga attentamente verificato l’aspetto normativo del P.S. di Sansepolcro in relazione a progetti come quello del Maneggio-allevamento di Villa Benedetti, ricadenti in aree di pregio con vincoli paesaggistici ed archeologici.

A prescindere comunque dagli aspetti normativo-legislativi sopra evidenziati, in tanti a Sansepolcro continuano a non capire come sia stato possibile accettare nel 2010 nel nuovo Piano Strutturale le Osservazioni n. 100 e n. 431 di soli, si fa per dire, 12.000 mq di nuovo edificato in area vincolata che, viste le dimensioni, alcuni a suo tempo ribattezzarono non senza un pizzico di sarcasmo il “Villaggio Olimpico di Villa Benedetti”!

Poniamo alcune domande agli Amministratori Comunali, Provinciali e Regionali.

I 12.000 mq delle Osservazioni n. 100 e 431 accettate con grande disinvoltura nel nuovo Piano Strutturale, sono forse la sconcertante risposta della Politica e degli Amministratori di Sansepolcro, rispetto a problematiche di grande attualità come l’eccessivo e crescente consumo di suolo agricolo (fatto ancor più grave perché qui si vorrebbe consumare e cementificare suolo agricolo di grande pregio), con la cementificazione ed impermeabilizzazione di enormi porzioni di territorio, che di fatto vanno a peggiorare il già precario equilibrio idro-geologico di cui è gravemente malata l’intera Penisola? Le recenti alluvioni che in Liguria e Toscana hanno seminato morte e devastazione, con ingenti danni anche all’ambiente e alle bellezze della nostra Nazione, non sono forse figlie dell’incuria e imperizia di chi per anni ha amministrato il territorio senza alcun criterio?

E’ forse questa un’area idonea a contenere interventi urbanistici così rilevanti e impattanti (anche se per finalità agricole), che inevitabilmente andrebbero a modificare un quadro naturale di notevole pregio paesaggistico venutosi a creare nell’arco dei secoli?

E’ forse su queste colline vincolate e protette dal 1962, e ad oggi ancora perfettamente conservate (tra le ultime rimaste ancora integre a ridosso della Città, dopo gli scempi urbanistico-edilizi compiuti negli ultimi 50 anni), che un Piano Strutturale puntuale, ponderato e soprattutto coerente con indirizzi, leggi e norme sovracomunali, poteva prevedere interventi urbanistici (anche se per finalità agricole) così rilevanti?

Forse qualcuno a Sansepolcro nel 2010 credeva che per motivi agricoli si potesse senza alcun problema – e senza alcun criterio – edificare a proprio piacimento in aree di pregio dall’alto valore paesaggistico, protette da Decreti Ministeriali?

Forse qualcuno a Sansepolcro nel 2010 non conosceva bene la Legge Regionale n. 1 del 2005, e i Decreti Attuativi del 2007 ad essa correlati, ivi compreso l’inserimento del comma 1 bis del febbraio 2010?

Forse qualcuno a Sansepolcro nel 2010 non conosceva le NTA del nuovo Piano Strutturale?

Può non stupire che molti Politici locali (forse troppi) abbiano ignorato nell’aprile 2010 gli acclarati valori delle nostre colline e le leggi regionali che regolano il governo del territorio, ma risulta difficile comprendere perché poi molti (certamente troppi) Amministratori e Tecnici con responsabilità e competenze urbanistiche, non abbiano prontamente individuato tali macroscopiche e palesi incompatibilità! La Commissione Comunale per il Paesaggio, ad esempio, ha impiegato ben tre anni per individuarne alcune, e dopo due dinieghi della Sovrintendenza! Si dirà: “Meglio tardi che mai!”

La risposta data a queste elementari domande dalla passata Amministrazione Comunale – sotto la illuminata guida del Prof. Polcri – è tristemente nota a tutti: nel 2010 fu sferrato un duplice attacco al prezioso patrimonio collinare di Sansepolcro, con la previsione nel nuovo P.S. delle famose Villette in collina da un lato, e del Maneggio-allevamento di Villa Benedetti dall’altro: 7.200 mq di nuovo edificato all’interno della U.t.o.e. N. 3 (non a caso quella di maggior pregio paesaggistico-ambientale tra tutte le U.t.o.e. , con oltre il 60% della sua estensione protetto dal D.M. 310). Un attacco degno dei feroci Lanzichenecchi, pianificato (quello sì) con cura dai politici di Sansepolcro che allora governavano. E all’opposizione cosa facevano? Criticavano senza riserve il P.S. e le sue previsioni più eclatanti: Is 11. Una volta al governo – nel maggio 2011 – gli Amministratori progressisti stralciarono con inusuale rapidità (grazie anche alla Conferenza Paritetica su cui poi torneremo) solo le Villette in collina (pari a 3.000 mq di nuovo edificato), “dimenticandosi” con grande leggerezza dell’altro rilevante ed incompatibile progetto: un intervento di migliaia di metri di cui – fatto strano – quasi nessuno sapeva l’esistenza. Comunque, poco o forse nulla fu fatto dalla nuova Amministrazione per, se non altro, verificare la giustezza e compatibilità del progetto del Maneggio-allevamento di Villa Benedetti (pari a 4.200 mq di nuovo edificato, e perciò di gran lunga superiore allo stesso Is 11!!!). Anzi, la neoeletta Amministrazione avallò il secondo progetto-fotocopia (la cui anomala dinamica è già stata ampiamente descritta nel Memorandum del 24 Settembre 2012) del 2011, ripresentato dal committente con risibili modifiche rispetto al precedente. E pensare che il primo progetto del 2010 aveva già subito nei mesi precedenti un netto diniego da parte della Sovrintendenza di Arezzo! Perché – ci chiediamo ancora – nessuno della Amministrazione progressista, durante i lavori della Conferenza Paritetica Interistituzionale tenutasi a Firenze il 15 giugno 2011, alzò un dito in difesa delle vincolate colline ad Est del Torrente Afra? Fu semplice “disattenzione” amministrativa (per parafrasare i richiami dell’Assessore Marson)? Ai posteri l’ardua sentenza.

E’ solo grazie allo scrupoloso filtro e lavoro della Sovrintendenza di Arezzo, che per due volte ha bocciato tali ipotesi edificatorie, se oggi sulle vincolate colline ad Est del Torrente Afra non ci sono antiche strade interpoderali distrutte, enormi stalle, concimaie, galoppatoi coperti e scoperti, fienili, giostre, tondini, parcheggi in cemento, resede per il custode, club-house a due piani (con snack bar, salette per gli ospiti e annesso negozio per articoli da equitazione), spogliatoi, etc. contemplati e previsti nelle Osservazioni n. 100 e 431! Sono forse questi i fantomatici Programmi Aziendali Pluriennali di Miglioramento Agricolo dei “poveri” Agricoltori della Valtiberina Toscana? Fino ad ora solo la Sovrintendenza di Arezzo ha doverosamente difeso le irriproducibili colline della nostra Città, evitando – coi suoi dinieghi – il pesante sbancamento di migliaia di metri cubi di pregevole territorio comunale… un po’ poco – non vi pare – da parte dei politici e amministratori locali di quasi tutti gli schieramenti, per essere le colline immortalate da uno dei massimi Artisti del Rinascimento che risponde al nome di Piero della Francesca! Ma andiamo oltre.

Le Osservazioni n. 100 e 431 a cui ancor’oggi in tanti ossequiosamente si inchinano, furono oltretutto accolte nel P.S. – ironia della sorte – a precise condizioni/prescrizioni contenute nel FASCICOLO n. 4: Osservazioni riguardanti la U.t.o.e. N. 3, di cui riportiamo il testo integrale: “in particolare per la realizzazione degli interventi nella pertinenza degli edifici di matrice storica della Villa Benedetti dovrà essere redatto un P.d.R. che preveda una accurata documentazione sia degli interventi edilizi che delle sistemazioni degli spazi aperti di progetto, nel rispetto delle norme del Piano Strutturale così come modificate ed integrate in fase di controdeduzione. Analoga documentazione dovrà essere presentata per la realizzazione delle strutture sportive previste all’interno dell’area di tutela paesistica della villa, che dovranno essere oggetto anch’esse di Piano Attuativo e/o Programma aziendale pluriennale di miglioramento agricolo ambientale (che potrà essere lo stesso piano attuativo relativo agli edifici di Villa Benedetti o un piano attuativo autonomo), sempre nel rispetto delle condizioni definite dalle N.T.A. del P.S. Nell’ambito di tali piani attuativi dovrà essere dimostrata anche l’adeguatezza delle infrastrutture della mobilità rispetto agli effetti indotti dagli interventi proposti nella osservazione, proponendo eventualmente nuove opere per mitigare o evitare eventuali effetti negativi”.

In altri termini, la passata Amministrazione Comunale a guida Polcri (il sensibilissimo – a parole – uomo di cultura del Centrodestra che nel 2007 volle e pilotò la stesura del nuovo P.S.), dava i permessi a costruire le enormi strutture del Maneggio-allevamento, a condizione che – per mitigare l’inevitabile incremento di traffico indotto dalle nuove strutture – il committente avesse allargato la piccola strada interpoderale che attraversa la tenuta (annoverata nel nuovo P.S. tra i percorsi di matrice storica), andando di fatto contro l’Art. 57 delle NTA adottate nel “fresco” Piano Strutturale! Dopo un’amnesia durata tre anni e tre progetti, la Commissione Paesaggistica Comunale ha dunque evidenziato nel gennaio di quest’anno un’ulteriore incompatibilità (ultima in ordine di tempo) correlata a questa ipotesi edilizia. Incompatibilità, in questo caso, frutto di un paradigmatico quanto deplorevole esempio di schizofrenia amministrativa, partorito dalla passata Amministrazione Comunale, che non merita neppure di essere commentato!

Ci piacerebbe però poter fare qualche domanda all’allora Assessore all’Urbanistica, e al passato Dirigente responsabile dell’Ufficio Urbanistica di Sansepolcro, che elaborò e redasse dal 2007 al 2009 il Piano Strutturale oggi in vigore. Peccato che nel frattempo entrambi non ricoprano più tali incarichi… perché si sa che, mentre i politici-amministratori passano, gli ecomostri e/o gli irreversibili danni paesaggistico-ambientali da loro voluti o avallati restano!

Stando così le cose, dopo aver riscontrato i dubbi e le ulteriori perplessità sopra enunciati, crediamo sia giunto il momento di mettere la parola fine su tutta questa annosa e contorta vicenda. Senza ingiustificabili tentennamenti e con la massima trasparenza. Per troppo tempo Tecnici comunali, Amministratori pubblici, Assessori, alti Funzionari provinciali e regionali, Sovrintendenti del Mibac… hanno esaminato, discusso, lavorato su una pratica edilizia controversa ed a nostro giudizio incompatibile con le attuali norme di gestione e tutela del territorio: un abnorme ed ingiustificato utilizzo di risorse pubbliche, di pubblici denari, che con la scure della Spending Review, che taglia drasticamente i bilanci degli enti pubblici, appare oggi agli occhi dei cittadini ancor più odioso ed intollerabile.

Per individuare una volta per tutte le molteplici incompatibilità di tale previsione urbanistica e dissipare i tanti dubbi e contraddizioni che caratterizzano questa complessa vicenda, gli Amministratori ed i Tecnici di Sansepolcro vogliono che intervenga la Magistratura inquirente, come di recente al Comune di Capoliveri, che – ahinoi! – come avviene da alcuni decenni nel nostro “bel Paese”, è costretta sempre più spesso ad intervenire là dove Politici e Tecnici talvolta non sono in grado di far rispettare le leggi vigenti o, peggio, che in taluni casi si attivano per “addomesticarle” in ossequio a biasimabili interessi di parte? A tanto si deve arrivare per difendere l’integrità ed i valori paesaggistici della nostra Città? Ci auguriamo di no.

Auspicabilmente speriamo che gli attuali Amministratori e Tecnici possano e vogliano intraprendere altre strade, e che finalmente in tutti prevalga un indispensabile senso di responsabilità, una rinnovata sensibilità ambientale e un autentico spirito di servizio per arrivare a soluzioni condivise, prive di inaccettabili compromessi e incompatibilità con gli strumenti sovracomunali della pianificazione territoriale. Soluzioni nette, in linea con gli indirizzi e le politiche di tutela paesaggistica ed ambientale perseguiti dagli Amministratori della Regione come il Presidente Rossi e l’Assessore Marson.

Auspichiamo altresì che con l’imminente adozione del nuovo Regolamento Urbanistico, l’Amministrazione Comunale, guidata dalla Dott.ssa Daniela Frullani – in discontinuità con la passata Amministrazione, e per correggere le ombre e le lacune di un Piano Strutturale non certo impeccabile che, come tutti sanno, oltretutto non è mai stato condiviso dall’ attuale Maggioranza progressista – possa e voglia davvero adottare tutte le misure utili e necessarie per tutelare, valorizzare e soprattutto preservare con forza gli alti valori culturali, storici e ambientali del nostro territorio, che in tanti ci invidiano e che, grazie a Piero della Francesca, tutto il mondo ammira: ivi compresi gli immateriali valori paesaggistici delle colline che fanno da corona alla Città di Sansepolcro, e che alla metà del ‘400 fecero in taluni casi da sfondo ad alcune sue celeberrime opere.

Difendere oggi il territorio e l’ambiente della nostra valle da usi ed abusi sconsiderati, è per noi un obbligo morale.

Difendere i valori paesaggistici della nostra Città, è un civico dovere sancito dall’Art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Comitato Difesa Paesaggistica delle Colline di Sansepolcro

Sansepolcro, lì 23 Settembre 2013

 

P.S.

Poniamo un’ultima domanda agli Amministratori della Regione.

Ma a cosa servono le Conferenze Paritetiche Interistituzionali – a cui spesso ricorre la Giunta della Regione Toscana per evidenziare e correggere possibili elementi di incompatibilità a volte contenuti in fondamentali strumenti della pianificazione territoriale come i nuovi Piani Strutturali e i nuovi Regolamenti Urbanistici adottati dai 287 Comuni della Toscana – che furono capaci di vedere nel giugno del 2011 solo le incompatibilità dei 3.000 mq dell’Intervento Strategico 11 (le famose Villette in collina poi cassate dal P.S.), all’interno della U.t.o.e. N. 3 e che, simultaneamente, furono incapaci di vedere anche le incompatibilità dei 12.000 mq delle Osservazioni n.100 e 431, sempre sulle protette colline della stessa U.t.o.e. N. 3? O che, se si preferisce, furono incapaci di vedere anche le incompatibilità dei 4.200 mq del primo progetto del Maneggio-allevamento di Villa Benedetti, che già da 6 mesi aveva subito la prima sonora bocciatura della Sovrintendenza di Arezzo con Diniego del 30 dicembre 2010? Un incomprensibile “strabismo amministrativo” questo, su cui riflettere e che meriterebbe opportuni approfondimenti.

 

Il comunicato era stato inviato a:

• Assessore all’Urbanistica e Pianificazione del Territorio e Paesaggio della Regione Toscana, arch. Anna Marson

• Soprintendente per i Beni Architettonici – Paesaggistici-Storici ed EtnoAntropologici della Provincia di Arezzo, arch. Agostino Bureca

• Caposettore della Sezione Beni Storici – Artistici ed EtnoAntropologici della Provincia di Arezzo,

• dr.ssa Paola Refice

• Assessore al Governo del Territorio della Provincia di Arezzo, dr.Piero Ducci

• Dirigente del Servizio Programmazione Territoriale ed Urbanistica della Provincia di Arezzo, dr. Patrizio Lucci

• Sindaco ed Assessore all’Urbanistica del Comune di Sansepolcro, dr.ssa Daniela Frullani

• Assessore alla Cultura ed alla Pubblica Istruzione del Comune di Sansepolcro, dr. Andrea Borghesi

• Assessore al Turismo del Comune di Sansepolcro,.dr.ssa Chiara Andreini

• Ingegnere Capo del Comune di Sansepolcro,.ing.Remo Veneziani

 

Regole per il buon governo.

carta_suoli toscana 1 250KLa riforma della legge regionale sul governo del territorio, Convegno organizzato dalla Regione Toscana, Firenze, 20 novembre 2013.

Il convegno è stato organizzato per esporre e discutere i contenuti della proposta di legge  recentemente approvata dalla giunta regionale e sottoposta al voto del Consiglio, dopo gli interventi del Presidente della Regione, Enrico Rossi, e dell’assessore all’urbanistica Anna Marson sono intervenuti nelle diverse sessioni:  Marco Cammelli, Alberto Chellini, Edoardo Salzano, Salvatore Lo Balbo, Gampiero Maracchi, Vezio De Lucia, Giovanni Caudo, Gianfranco Venturi, Paolo Maddalena, Raffaele Potenza, Massimo Morisi, Raffaella Mariani.  Dopo i numerosi interventi nelle varie sessioni  ha concluso Anna Marson .

Ecco gli interventi di Vezio De Lucia e di Edoardo Salzano, nonché quello di Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale della Fillea CGIL  (da Eddyburg).

VEZIO DE LUCIA, Procedure di pianificazione ed efficacia dell’azione di governo.

0. Voglio dirlo subito, senza problemi. Sono convinto che siamo di fronte a una svolta storica: a 50 anni dalla drammatica sconfessione di Fiorentino Sullo e a 35 anni dall’illusione della legge Bucalossi, la Toscana riprende l’iniziativa della riforma, e stavolta ci sono le condizioni per cogliere l’obiettivo.

1. L’innovazione fondamentale della proposta di riforma urbanistica che stiamo discutendo risiede nel procedimento pianificatorio volto a porre un freno al consumo del suolo. A tal fine è prevista, com’è noto, la rigorosa perimetrazione del territorio urbanizzato. In breve, ogni comune provvede a dividere in due parti il proprio territorio: quella urbanizzata e quella rurale. All’interno del territorio urbanizzato deve essere concentrato ogni intervento di nuova edificazione o di trasformazione urbanistica. All’esterno, non sono mai consentite nuove edificazioni residenziali. Sono invece possibili limitate trasformazioni di nuovo impianto per altre destinazioni, solo se autorizzate dalla conferenza di pianificazione di ambiti di area vasta [(art. 4 c. 6), ovvero ambiti sovracomunali (art. 27)], cui spetta di verificare che non sussistano (anche nei comuni limitrofi) alternative di riuso o riorganizzazione di insediamenti e infrastrutture esistenti.

Finisce così, ha dichiarato il presidente Rossi, la stagione degli ecomostri e delle villette a schiera. Una dichiarazione da non dimenticare.

Il pregio della proposta toscana si coglie appieno confrontandola con le proposte di legge per il contenimento del consumo di suolo che sono finora 13 (8 alla Camera e 5 al Senato), presentate da quasi tutte le forze politiche e dal governo. I dispositivi previsti sono in genere molto complicati, certe volte bizzarri, o addirittura controproducenti.

2. A questa prima e prioritaria innovazione è strettamente connessa quella che riguarda il superamento del cosiddetto pluralismo istituzionale paritario, cioè la presunzione di assoluta equivalenza fra la Regione e gli altri poteri locali, stoltamente perseguita dalla Toscana negli anni passati. Una concezione esasperata e perversa dell’autonomia istituzionale, figlia delle modifiche alla Costituzione del 2001, con il solo e inutile intento di captatio benevolentiae nei confronti di Bossi, dei leghisti e della mitologia federalista allora dilagante, e senza uno straccio di valutazione critica. In Toscana, in conseguenza del pluralismo istituzionale paritario, è stato di fatto impedito alla Regione di operare interventi sulle proposte di trasformazione del territorio decise dai Comuni, anche se in contrasto con gli strumenti di pianificazione disposti dalla stessa Regione.

Nella nuova legge, per superare il malinteso pluralismo paritario, i provvedimenti adottati sono:

In primo luogo, la già citata conferenza di copianificazione (art. 24) d’area vasta [o sovracomunale] cui spetta di decidere intorno all’impegno di suolo all’esterno del territorio non urbanizzato. Alla conferenza partecipano la Regione, la Provincia, il Comune proponente e gli altri comuni ricadenti negli ambiti sovraccomunali che saranno individuati dal Consiglio regionale;

In secondo luogo, il rafforzamento dei poteri della conferenza paritetica interistituzionale (artt. 45 sgg.), organo destinato a comporre i conflitti tra i soggetti che operano in materia di governo del territorio. La conferenza era già prevista dalla precedente legge 1/2005 ma, incredibilmente, proprio in ragione della presunta assoluta parità fra i livelli istituzionali, non aveva il potere di rendere cogenti le decisioni assunte. La rinnovata conferenza interistituzionale è invece dotata dei poteri necessari ad assicurare il recepimento delle proprie conclusioni. E il parere negativo della Regione è vincolante.

3. Altre importanti innovazioni della riforma urbanistica toscana, che è impossibile approfondire in quest’occasione, sono:

– la riorganizzazione delle procedure e delle regole relative all’informazione e alla partecipazione (rafforzando i poteri d’intervento regionali);

-l’istituzione del monitoraggio dell’esperienza applicativa della legge e della sua efficacia;

–  l’introduzione del suggestivo concetto di «patrimonio territoriale»;

–  l’immissione delle politiche abitative fra i contenuti della pianificazione urbanistica;

– il rafforzamento delle regole di prevenzione e mitigazione dei rischi sismici e idrogeologici;

– la valorizzazione dell’attività agricola e del mondo rurale;

– la correzione del lessico (il «regolamento urbanistico» diventa più correttamente «piano operativo»);

– la riduzione dei tempi della pianificazione (gli attuali 6 anni in media per i piani comunali dovrebbero ridursi a 2);

-l’adeguamento della legislazione regionale al Codice del paesaggio;

– la collocazione nel loro spazio fisiologico di strumenti come la compensazione, la perequazione, gli accordi di programma, che in altre Regioni determinano conseguenze efferate.

È una lista che prefigura una qualità senza confronti dell’azione regionale.

Qui apro una parentesi ricordando che nel Lazio, Regione pure governata, dal marzo scorso, da un’amministrazione di centrosinistra, la politica urbanistica continua a essere incentrata sul famigerato «piano casa» ereditato dalla precedente giunta Polverini. Un provvedimento al quale si cerca, assai stentatamente, di apportare modifiche migliorative, che continua però a essere caratterizzato dalle deroghe agli strumenti urbanistici, deroghe tanto pervicacemente diffuse da configurare un vero e proprio ordinamento alternativo a quello della pianificazione ordinaria. [Qualunque precedente destinazione può essere trasformata in alloggi: come nel caso, in Comune di Roma, dell’ex Consorzio Agrario al quartiere Marconi (che oggi ospita la Città del Gusto e un cinema multisala) e dell’ex fabbrica Buffetti alla Magliana (un quartiere mostruoso dove si raggiungono densità di mille abitanti/ettaro)].

4. Torno alla proposta di cui discutiamo affrontando un argomento che, secondo me, merita di essere approfondito, quello della pianificazione territoriale di livello intermedio, fra Regione e Comuni. Cominciando del piano territoriale di coordinamento di competenza provinciale, uno strumento tra l’altro in Toscana mai amato (la legge 142/1990 che lo istituisce fu anche oggetto di ricorso della Regione alla Corte costituzionale), privo di effettiva cogenza, una sorta di piano paesistico attenuato (con elementi del piano di bacino), nella migliore delle ipotesi un repertorio di buone intenzioni. Mi pare che la discussione sulla proposta di riforma urbanistica non possa ignorare questo nodo, anche se l’incertezza circa il destino delle Province – intorno al quale si susseguono confuse proposte governative – probabilmente non consente soluzioni definitive.

Comunque, un ragionevole punto di partenza per avviare una riflessione potrebbe essere quello degli ambiti di area vasta (art.4, c. 6; art. 27) per ora un mero e generico riferimento territoriale (indispensabile per decidere in ordine alle eventuali edificazioni nello spazio aperto). In effetti, la proposta di riforma urbanistica non ne definisce in alcun modo né la natura né le dimensioni né altro, limitandosi a fissare per la loro individuazione la scadenza di 180 giorni dall’approvazione della legge. Un po’ poco per una questione di grandissima importanza ai fini del buongoverno del territorio.

Vale la pena allora di chiedersi se non sia conveniente cogliere quest’occasione per attribuire agli ambiti di area vasta anche una qualità istituzionale, riconoscendo cioè a essi la titolarità di poteri pianificatori, trasformandoli insomma in attori della pianificazione intercomunale (artt. 22 sgg.). Almeno in via sperimentale. In tal modo contribuendo, tra l’altro, al superamento del piano strutturale comunale che troppo spesso appare inadeguato (comuni conurbati, di ridotta superficie territoriale, con problemi di infrastrutturazione irrisolvibili a scala locale).

5.  Anche Anna Marson ha rivendicato il legame della sua proposta di riforma con i principi che animarono le riforme e i tentativi di riforma dei primi anni Sessanta [il concetto di patrimonio territoriale sostituisce gli elenchi di beni culturali e aree protette, così come la nozione di centro storico sostituì l’individuazione dei singoli edifici di valore monumentale].

La filosofia riformatrice rivendicata dall’assessore Marson mi pare ottimamente espressa da alcuniparagrafi della relazione:

«La crisi economica, e più nello specifico la crisi finanziaria degli enti locali e la riduzione dei posti di lavoro e delle retribuzioni, comporta oggi il rischio di un «prevalere» delle scelte di investimento, di qualunque natura esse siano, rispetto a una valutazione ponderata dei pro e contro le diverse ipotesi di trasformazione e messa in valore dei territori in un’ottica di sostenibilità di lungo periodo e di prospettiva territoriale più ampia. Questa situazione espone i territori locali all’elevata volatilità degli investimenti, con il conseguente rischio del mancato prodursi di effetti positivi sull’economia reale, e al prodursi di crisi più profonde e ricorrenti.

«A fronte di tale scenario l’esercizio del potere decisionale da parte di un solo attore istituzionale, espone al rischio della «cattura del regolatore», ovvero della subordinazione di chi è tenuto a rappresentare gli interessi collettivi a interessi di parte. La cosiddetta «filiera della pianificazione» è stata dunque resa più trasparente e coerente, affinché soggetti istituzionali, cittadini e attori economici possano partecipare, ognuno per le proprie funzioni, alla costruzione e gestione di decisioni nelle quali rappresentanza formale e rappresentanza sostanziale degli interessi collettivi coincidano il più possibile».

Che io sappia, è la prima volta che un provvedimento di legge dichiaratamente si sottrae al «ricatto della congiuntura», il machiavello che da mezzo secolo si utilizza per dirottare su un binario morto qualsivoglia proposta davvero innovativa. Il pretesto è che in tempo di crisi economica (ma è sempre tempo di crisi) non è possibile mettere mano ad autentiche riforme]. E con chiarezza denuncia il rischio di opacità che si corre quando a decidere è un solo soggetto (la cattura del regolatore).

Meglio di così mi pare impossibile.

EDOARDO SALZANO, Perché e come contrastare il consumo di suolo.

Il tempo che è stato concesso ai nostri interventi mi obbliga a essere sintetico, perciò in buona parte apodittico. Spero che questo non nuoccia alla chiarezza.

Il suolo è un bene prezioso, oggetto di utilizzazioni molteplici

Perché è necessario contrastare il consumo di suolo? Credo che in primo luogo occorra assumere piene consapevolezza del fatto che il suolo è un bene prezioso per ciò che esso è, per le sue caratteristiche proprie:

– è la pelle del pianeta, il substrato delle comunità biologiche, l’infrastruttura materiale della vita,

– è il palinsesto della storia delle civiltà umane,

– è l’habitat della società umana, il suo sistema insediativo

Da queste sue caratteristiche discendono le molteplici potenziali utilizzazioni del suolo per la razza umana:

– il ciclo della biosfera,

– il deposito di risorse naturali utili all’uomo

– la produzione degli alimenti,

– l’habitat dell’uomo,

– la testimonianza e l’insegnamento della storia delle civiltà

Le trasformazioni della civiltà umana hanno prodotto, soprattutto negli ultimi secoli, un pesante processo di trasformazione che ha privilegiato, rispetto alle altre utilizzazione, quella finalizzata all’uso del suolo come habitat dell’uomo nella forma dell’urbanizzazione: abbiamo inventato e progressivamente esteso la città, che è divenuta al tempo stesso gloria e dannazione della civiltà umana.

Oggi constatiamo che il suolo si sta gradatamente ma velocemente trasformando in quella che Antonio Cederna definiva la “repellente crosta di cemento e asfalto” .

Il ruolo della rendita

Decisivo in questo mortifero processo sono stati due elementi:

– la mancata consapevolezza di consapevolezza del valore del suolo comebene (come patrimonio da gestire con parsimonia), e non come merce

– il ruolo che ha via via assunto la rendita urbana: più precisamente, la sua appropriazione privata

La potenzialità economica della rendita nell’economia capitalistica borghese, e soprattutto in quella post-borghese, ha escluso, ed esclude via via più decisamente, gradualmente le altre possibili utilizzazioni (oltre a cancellare quella che io definisco la “città dei cittadini”: quella cioè finalizzata al ben-essere e ben-vivere dei suoi abitanti)

Come contrastare

Per contrastare il consumo di suolo dobbiamo tener conto che esso ha molte forme

– il land grabbing, cioè l’accaparramento dei terreni e del loro uso da parte di poteri esterni alle comunità locali

– l’asservimento della produzione agricola al ciclo energivoro dell’economia opulenta, mediante la produzione esclusiva di biomasse

– la distruzione materiale della naturalità, della bellezza e della storia mediante, cioè la sostituzione della pelle del pianeta con la “repellente crosta di cemento e asfalto”.

E’ su quest’ultimo aspetto che vorrei soffermarmi, tenendo conto che non è l’unico, che tutti vanno combattuti e che solo una visione complessiva può consentire il formarsi le alleanze necessarie per vincere.

Il punto di svolta

Mi pongo una prima domanda: Quando il consumo di suolo è diventato un problema, un aspetto rilevante dei processi di degrado dell’ecosistema planetario che già la cultura ecologista aveva denunciato?

Il punto di svolta è stato rappresentato dagli orribili anni 80, le cui prime radici si sono potute vedere in Italia nelle “controriforme” del decennio precedente.

Ecco le cinque parole chiave del degrado:

1. La “perequazione”, intesa e praticata come spalmatura dell’edificabilità

2. l’invenzione dei “diritti edificatori”, termine fino ad allora completamente estraneo sia al linguaggio corrente che al mondo del diritto e a, teorizzata e praticata nel PRG di Roma targato Rutelli e Veltroni

3. la “vocazione edilizia” come attributo del suolo,

4. il “trionfo della rendita urbana, magistralmente analizzata da Walter Tocci

5. l’abbandono della pianificazione, il cui emblema e stato costituito dalla la legge di Maurizio Lupi.

Il punto di svolta è stato insomma determinato dall’onda globale del neoliberismo aggravata nella sua versione italiana a causa di due elementi nostrani

– il ruolo della rendita nel nostro paese

– la debolezza della pubblica amministrazione dello stato unitario

Abbiamo capito tardi

Mi pongo una seconda domanda: perché la gravità del fenomeno è stata avvertita così tardi?

E’ una domanda che mi pongo da quando, nel 2004, abbiamo cominciato a preparare la prima edizione della Scuola di eddyburg e ci siamo accorti che cultura, politica e amministrazioni non consideravano lo sprawl un grave pericolo da combattere. Mi sono convinto che questo ritardo sia addebitabile soprattutto a 4 cause:

1. L’egemonia conquistata dall’ideologia della crescita indefinita (lo “sviluppismo”)

2. La decadenza della politica e il suo appiattimento sul giorno per giorno,

3. La distrazione della gran parte dei saperi specialistici dagli aspetti propri della pianificazione delle città e del territorio

4. Il prevalere nell’accademia della formazione di tecnici per la gestione dei processi in atto (facilitatori) anziché di intellettuali dotati di spirito critico e quindi propositori di strade alternative

Le cose sono cambiate

Oggi il “No al consumo di suolo” è diventato uno slogan di massa: il peggioramento delle condizioni materiali, i risultati del saccheggio in nome della rendita hanno suscitato reazioni estese di protesta e di puntuale proposta alternativa

Ma “No al consumo di suolo” è diventato anche una parola passepartout, come è accaduto per le parole sostenibilità, sviluppo, e perfino con la parola democrazia.

Dobbiamo porre la massima attenzione attenti ai falsi profeti, ai lupi mascherati da agnello.

Grande confusione sul “che fare”

Le commissioni parlamentari sono affollate di proposte legislative, alcune chiaramente volte a convalidare le scelte perverse che hanno causato il saccheggio del territorio, altre semplicistiche e velleitarie, altre infine mutuate da esperienze di altri paesi il cui contesto è profondamente diverso dal nostro.

La confusione non è un buon segno, perché allontana dalla buona soluzione. Eppure la situazione e gravissima ed è urgente dire “stop al consumo di territorio nella pratica.

Molto si può già fare, a tutti i livelli. Ma a tutti i livelli è in primo luogo necessario disporre di:

– una visione strategica, quindi alternativa rispetto alla miopia prevalente oggi

– un dispositivo che leghi tra loro i diversi livelli di governo: le istituzioni della Repubblica, stato, regioni, province e città metropolitane, comuni.

-l’attivazione di procedure che consentano di dare voce informata e consapevole al “popolo sovrano”, coinvolgendolo nel processo di decisione

A livello comunale

Molte esperienze di autocontenimento del consumo di suolo con gli strumenti della pianificazione urbanistica: Il Prg di Napoli del 2004 e, in Toscana il piani di Lastra a Signa e quello di Sesto fiorentino nel 2004 e 2005: ma ce ne sono certamente altri.

A livello regionale

Due parole sulla proposta di modifica della legge 1/2005 approvata dalla giunta regionale della Toscana

Un testo che mi sembra esemplare soprattutto per tre aspetti:

1. assegna priorità alla tutela e al riconoscimento del valore del patrimonio comune rispetto alle trasformazioni. Voglio sottolineare che questo “riconoscimento” postula un massiccio impiego di lavoro in tutti i settori connessi alla manutenzione del suolo

2. esprime in termini chiari le buone intenzioni confusamente espresse nella legge precedente e, soprattutto, le traduce in dispositivo efficace e tassativo

3. pone in termini corretti e produttivi l’integrazione delle competenze dei vari livelli di governo: il tema complesso ma decisivo di un’interscalarità nel processo delle decisioni che corrisponda alle differenti scale di rilevanza degli aspetti del territorio e del loro governo

E’ un testo normativo che merita di essere indicato come modello per ogni legge regionale in materia e di essere assunto (soprattutto per le sue definizioni) come matrice di una nuova legislazione nazionale

A livello nazionale

Ma è certamente necessario un intervento normativo a livello nazionale, non solo perché non tutta l’Italia è come la Toscana Lo ha ruicordato con efficacia Marco Cammelli) ma anche perché ci sono nodi che solo a livello della Repubblica possono essere risolti.

Per tutelare il territorio non urbanizzato, a livello nazionale si dovrebbe:

1.  stabilire regole valide per tutte le regioni – del centro, del nord e del sud – avvalendosi delle competenze statali in materia di paesaggio. Già lo proponemmo come amici di eddyburg nel 2005, e le nostre proposte furono riprese anche nel testo elaborato dall’on. Raffaella Mariani.

2. applicare le leggi esistenti, e procedere tempestivamente alla individuazione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione”, come prescrive il Codice del paesaggio.

3.  ribadire il principio che l’edificazione è una facoltà che appartiene alla collettività e alle sue rappresentanze democratiche ( ripartendo da Piero Bucalossi) e fare piazza pulita con le teorie e le pratiche dei “diritti edificatori” e delle connesse compensazioni e perequazioni. Tocchiamo qui il nodo del contenuto del diritto proprietario, sul quale altri parleranno con maggiore competenza e autorità

4. Ultimo ma non marginale impegno, si dovrebbe affrontare la questione della formazione di una pubblica amministrazione competente, motivata, autorevole, in assenza della quale nulla di serio e di durevole si potrà fare nel territorio. Non mancano spese da rivedere in altri settori, come quelli delle rendite immobiliari e finanziarie e della produzione di armi.

Noi e il mondo

Un’ultima considerazione. Nel contrastare o meno il consumo di suolo dobbiamo tener presente che le nostre scelte coinvolgono orizzonti più ampi.

La corsa all’urbanizzazione dei paesi del terzo mondo, promossa e incentivata dalle agenzie internazionali, avviene utilizzando i modelli offerti dal la civiltà dominante. Dobbiamo essere capaci non tanto di proporre modelli alternativi a quelli correnti, ma di fornire l’esempio di logiche e strategie rispettose dei patrimoni e delle identità locali. La legge della Toscana è un prezioso insegnamento a questo proposito. L’augurio e la speranza sono che la proposta divenga subito efficace, e che essa apra la strada a quel nuovo modello di sviluppo di cui il Presidente della Regione ha cosi calorosamente parlato.

 

SALVATORE LO BALBO, Segretario Nazionale Fillea CGIL, La Fillea-CGIL chiede: zero consumo di suolo

Grazie ad Anna Marson e al Presidente Enrico Rossi per l’opportunità che mi danno oggi di parlare a questa qualificata platea.L’iniziativa di oggi rafforza la convinzione che si continuano a fare passi in avanti verso una società e uno Stato che sia in grado di dare piena attuazione ai dettami della Costituzione, a partire dall’articolo 1, “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e dall’articolo 9, “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio storico e artistico della nazione”.

Negli anni sessanta del secolo scorso, era il 1966, Adriano Celentano cantava a San Remo “il ragazzo della via Cluck” e negli stessi anni, era il 1963, Francesco Rosi ci regalava il film “Mani sulla città”, Leonardo Sciascia, era il 1961, ci incantava con il libro “Il giorno della civetta”, e Tonino Guerra ci diceva che: “Il nostro petrolio è la bellezza. La bellezza ci fa pensare alto e noi la buttiamo via come se fosse danaro dentro tasche vuote”

Gli anni sessanta sono stati gli anni dove, senza bisogno di grandi approfondimenti, “a naso”, era chiaro quale sarebbe stato il futuro del nostro paese: cemento, cemento e ancora cemento. Se quattro grandi italiani cinquant’anni fa scrivevano, cantavano e ci facevano vedere il futuro, solo una forte motivazione speculativa e criminale poteva corrompere le coscienze e ingrossare i portafogli di milioni e milioni di italiani.

Ovviamente non sono i materiali a essere nemici del suolo, dell’ambiente e dell’Italia (nessuno pensa a un luddismo del terzo millennio) ma i forti interessi di pochi – palazzinari, speculatori fondiari, cattivi e famelici amministratori e burocrati, imprenditori senza scrupoli, mafiosi, ‘ndranghisti e camorristi – che hanno determinato la realtà che abbiamo di fronte ai nostri occhi.

L’ISPRA ci dice che si consumano in Italia circa 80 ettari di suolo al giorno e dagli anni ’50 ad oggi è stata cementificata una superficie equivalente a quella di una regione come la Calabria, pari a 1,5 milioni di ettari. Continuando questo trend, si prevede che tra cinquant’anni scomparirà una superficie pari a quella del Veneto.
Il nostro pensiero va ai cittadini della Sardegna. Oggi “La Repubblica” ci informa che in questa regione dagli anni ’50 al 2001 la popolazione è aumentata del +25%, il territorio urbanizzato del +1.154% e l’urbanizzazione pro-capite del +900%. La stessa cosa, anche se con percentuali leggermente diverse, succede ogni due/tre mesi in tutto il territorio italiano. E’ successo recentemente anche in Toscana.

I contenuti di questo convegno e le notizie della cronaca, mi pongono nella condizione di dire, sempre con maggiore convinzione e forza, “zero consumo di suolo”. Questa nostra convinzione, frutto di come la filiera delle costruzioni è cresciuta senza sviluppo, l’abbiamo ufficializzata assieme con il nostro Osservatorio Territorio e Aree Urbane, nel convegno nazionale che abbiamo tenuto a Torino il 22 marzo 2013, dove senza tentennamenti abbiamo sintetizzato la nostra posizione con lo slogan “La FILLEA per zero consumo di suolo”.  Se la Fillea, malgrado gli oltre 400.000 posti di lavoro persi, ha posto l’asticella della filiera delle costruzioni a un livello alto di tutela e conservazione del “Bel paese”, perché in tanti e attraverso articoli, atti, disegni di legge, etc…. continuano a giocare con le parole, sostanzialmente per dire che con una pennellata di verde, di ecologia e di sostenibilità si può continuare ad impermeabilizzare il suolo?
Essendo questo un dramma mondiale, pari al cambiamento climatico di cui il consumo di suolo è certamente una componente decisiva, e in attesa che ci sia una Kyoto anche per il consumo di suolo, il Parlamento europeo e la Commissione Europea si sono già fatti sentire fin dal 2004 con la Direttiva n. 35. Non è stata ancora varata una nuova direttiva, ma i recenti “Orientamenti della Commissione Europea in Materia di Buone Pratiche per Limitare, Mitigare e Compensare l’Impermeabilizzazione del Suolo” rappresentano un punto di riferimento chiaro e corretto al quale tutti dobbiamo agganciarci. Spero che tanti dei presenti a questa iniziativa li abbiamo letti. Questi Orientamenti sono un punto di riferimento per tutto il continente europeo e ci danno le giuste coordinate per non giocare con le parole e per assumere provvedimenti legislativi o amministrativi in grado di non continuare a impermeabilizzare il suolo, neanche se questa impermeabilizzazione viene fatta con le parole dell’ambientalismo e con gli obiettivi di una economia verde che di verde ha solo il colore dei dollari (gli euro hanno tanti colori).
Le proposte della Fillea, pertanto, partono dalla condivisione degli orientamenti e dalla chiarezza dei contenuti che abbiamo definito a Torino lo scorso 22 marzo, nel già richiamato Convegno nazionale, e cioè:

  1. Consumo di suolo: è l’attività umana che “separa il suolo dall’atmosfera, impedendo l’infiltrazione della pioggia e lo scambio di gas tra suolo e aria”.
  2. Impermeabilizzazione del suolo: è la “costante copertura di un’area di terreno e del suolo con materiali impermeabili artificiali”.
  3. “limitazione del consumo di suolo”: vuol dire “impedire la conversione di aree verdi” (o naturali) “e la conseguente impermeabilizzazione del loro stato superficiale o di parte di esso.
  4. “mitigazione del consumo di suolo”: vuol dire che “Laddove si è verificata un’impermeabilizzazione sono”… “adottate misure”… “ tese a mantenere alcune delle funzioni del suolo e a ridurre gli effetti negativi diretti o indiretti significativi sull’ambiente e sil benessere umano”.
  5. “compensazione del consumo di suolo”: vuol dire che “Qualora le misure di mitigazione adottate in loco siano state ritenute insufficienti”, si passa “facendo altro altrove”. Il termine “compensazione” può essere fuorviante: non significa che l’impermeabilizzazione può essere compensata o monetizzata. Inoltre “Le misure di compensazione sono progettate per recuperare o migliorare le funzioni del suolo evitando gli impatti deleteri dell’impermeabilizzazione”.

Il confronto di queste definizioni, presenti negli Orientamenti della Commissione Europea, con il contenuto dei tanti disegni di legge presentati in Parlamento, rafforza la nostra convinzione che corriamo il rischio di una nuova colata di cemento e di un ingrossarsi dei portafogli di speculatori e mafiosi. Ovviamente il tutto condito come ha scritto Salvatore Settis il 1° giugno u.s. su “La Repubblica”: “La strana alleanza in salsa verde”.

A queste cinque azioni né aggiungo una sesta: la decementificazione . In essa si identifica la volontà di chi amministra per togliere il cemento da dove non doveva essere posto dai precedenti amministratori.
Detto ciò, la Fillea ritiene che esistano due livelli di azione: una da sviluppare sul territorio e l’altra da sviluppare nazionalmente. La prima, nelle mani degli amministratori del territorio, e la seconda, nelle mani dei parlamentari e del governo. Chiaramente, in entrambi i livelli, un ruolo importante è svolto dai cittadini, dalle associazioni, dal sindacato, dai partiti, etc…

Non esiste solo il livello nazionale, sarebbe un grave errore pensarlo. Gli articoli 9, 41, 44, e 137 della Costituzione ci danno il perimetro entro il quale i soggetti del governo e della gestione del territorio si devono muovere. Al parlamento spetta il compito di salvaguardare il “Bel Paese” e alle istituzioni locali spetta il compito di far convivere il “Bel Paese” con le necessità economiche, civili e di convivenza dei cittadini.

Pertanto, anche senza una legge nazionale sulla riduzione o azzeramento del consumo di suolo, gli amministratori locali possono assumere decisioni per limitare, mitigare e compensare il consumo di suolo. Basta fare le opportune scelte politiche e amministrative. Per questo ritengo che sia importante il fermento culturale e amministrativo sulla riduzione del consumo di suolo che sta attraversando gran parte delle regioni e dei comuni, e prima tra tutte la regione Toscana.
Noi ci aspettiamo che i prossimi giorni servano a diradare le tante nebbie ancora presenti sull’argomento. Chi può decidere senza una legge nazionale lo faccia senza aspettarla, chi deve fare una legge nazionale la faccia per la riduzione del consumo del suolo e non per salvaguardare interessi “presumibilmente” eterni o per proteggere, direttamente o indirettamente, gli interessi dei personaggi di Sciascia o Rosi.

Evitiamo di prestare tanta attenzione ai diritti di edificazione (ma perché sono eterni o non annullabili?) e poniamo l’attenzione sulla creazione di spazi non impermeabilizzabili, per avere la certezza che gli interessi saranno riversati sull’impermeabilizzato.Bisogna vietare l’impermeabilizzazione per rigenerare i quartieri e i comuni e per ricostruire e valorizzare i luoghi già edificati.

Questa nuova edilizia richiede lavoratori, tecnici e imprese che abbiamo professionalità e competenze oggi poco presenti sul mercato. Per questo pensiamo che un ruolo possa e debba essere svolto dalla contrattazione sindacale, dalla bilateralità e dalla formazione.

Le imprese che finalizzano il proprio interesse nell’avere “lavoretti” semplici, con lavoratori poco qualificati e professionalizzati, con conoscenzesufficienti a realizzare una soletta a cottimo, non hanno un futuro e spesso sono strumenti di illegalità anche mafiosa.

La Fillea ritiene che ancora qualche milione d’italiani possano e debbano continuare a vedere la filiera delle costruzioni come uno dei settori primari dell’economia italiana. Muratori, carpentieri, piastrellisti, installatori, lavoratori del cemento, lapidei, cavatori, geometri, ingegneri, architetti, restauratori hanno ancora un futuro nelle costruzioni. Questa volta non per distruggere il “Bel paese”, ma per valorizzarne la bellezza.

Il tempo delle volpi.

volpeculedi ALBERTO ASOR ROSA, da Il manifesto, 19 novembre 2013.

Beh, qualcosa abbiamo rimediato: la spaccatura della tradizionalmente infrangibile e inattaccabile falange berlusconiana; e la sempre più probabile espulsione dalle aule parlamentari di Silvio Berlusconi, il quale aveva contribuito potentemente a degradarle nel corso di ben due decenni. L’uno e l’altro risultato rappresentano un effetto positivo del governo delle «larghe intese»: il primo in maniera inequivocabile e diretta; il secondo, reso più sicuro e inevitabile dallo spappolamento del fronte berlusconiano, nel senso che il cosiddetto «Nuovo CentroDestra» continuerà certo a votare contro la decadenza di Berlusconi, ma convinzione ed esiti negativi ne risulteranno incomparabilmente indeboliti (anche per loro, adesso, la decadenza rappresenta un grosso favore).

Il 2013 è un anno machiavelliano: vi ricorre infatti il cinquecentenario (più o meno) della stesura del Principe. Nel chiuso un po’ soffocante delle aule universitarie se ne è celebrata la ricorrenza (nemmeno tanto, a pensarci bene). Il paese, invece, – e cioè l’Italia, cui il Segretario fiorentino cercò invano di parlare, e che avrebbe ancora tanto da imparare da lui – è restato sostanzialmente indifferente: come, del resto, sempre più nei confronti di qualsiasi altra memoria del proprio non ignobile passato, che potrebbe aiutarlo a risalire dal proprio miserabile presente.

Machiavelli osserva nel Principe (cap. XVIII) che il buon principe deve avere insieme le qualità della «volpe» e quelle del «leone»: «Perché il leone non si difende dai lacci (inganni), la volpe non si difende dai lupi». E conclude: «Bisogna adunque essere volpe a conoscere i lacci e leone a sbigottire (spaventare) i lupi». Cioè: il buon principe deve esser capace, a seconda delle circostanze, d’esser leone e d’esser volpe, forte e astuto a seconda dei casi, oppure, se è necessario, astuto e forte insieme, se la situazione lo richiede e le sue qualità lo consentono. E’ un’impresa difficilissima, che non è riuscita a molti nella storia.

Il nostro tempo – tempo italiano, ma forse europeo, forse mondiale – è un tempo di volpi. Il nostro Presidente, Giorgio Napolitano, è, machiavellianamente, volpe di classe, (come del resto lo è anche Papa Bergoglio, – volpe buona, s’intende!, con il quale infatti così bene si capiscono). E una volpe, minore ma niente male, si è rivelato anche il nostro presidente del consiglio, Enrico Letta, bravo a muoversi su di un sentiero accidentato in mezzo alla foresta. Le volpi – non c’è niente di negativo in questa definizione, a tener conto dei suoi aspetti generali – tengono la scena saldamente, la storia attuale ne è improntata.

E il leone, o i leoni? Il leone si è ritirato nelle sue tane misteriose, da dove sarà difficile persuaderlo a tornar fuori, a meno che il richiamo non sia particolarmente convincente e imperioso. Ma tornerò su questo punto in conclusione. Meditiamo un istante su quello che appaiono essere oggi il presente e il destino futuro della sinistra italiana (sinistra? insomma, questa cosa informe e ingovernabile che sta un poco più in là del neocentrodestra recentemente costituito). Essa è il frutto di una serie prodigiosamente lunga, ormai quasi trentennale, di «astuzie» politiche (e non di rado anche personali: faccio questo fondamentalmente perché serve a me), che si sono succedute nel tempo a opera di un gruppo dirigente che si è creduto tanto scaltro da cadere sovente nella stupidità.

Se Matteo Renzi, a quanto pare, è il nostro futuro, questo vuol dire che la Bolognina, la prima grande ganzata della nostra storia di sinistra è arrivata finalmente al suo traguardo finale e, doppiata la boa della storia, è libera di andare su rotte e verso approdi per noi da qui in poi perfettamente sconosciuti. Renzi, infatti, è anche lui, ahimè, una volpe, ma di quella specie inferiore che riesce a penetrare nei pollai solo perché i loro (presunti) custodi hanno perso la capacità di preservarli. Se poi fosse vero che il suo successo elettorale dipende soprattutto dalle regioni considerate tradizionalmente di sinistra, il quadro risulterebbe ancor più sconvolgente e drammatico: vorrebbe dire infatti che lì, dove meglio si poteva, invece di allevare leoni e buone volpi, si sono allevati in grande maggioranza polli da offrire alla prima, modesta, volpicina di passaggio.

In proposito non ho dubbi di sorta. Poiché visibilmente non siamo in grado come Federico il Grande di condurre una battaglia contemporaneamente su tutti i fronti, in questo momento il primo, forse esclusivo obiettivo è tentare d’impallinare Renzi prima che s’impadronisca del pollaio. Ma come si fa se il suo elettorato alle primarie è incalcolabile e dunque ingovernabile alla buona luce della ragione? Mi capita spesso di essere presidente di un condominio, quello in cui abito, ovviamente: se, al momento del voto, o dei voti, invitassi i passanti che circolano sotto casa a parteciparvi alla stessa stregua degli altri, gli altri utenti del palazzo dove abito mi prenderebbero per matto. E’ invece esattamente quello che capita ora in seno al Pd: frutto anche questa volta dell’astuzia stupida dei maggiorenti, il Segretario può essere scelto, magari a maggioranza, non dai condomini, ma dai dirimpettai, interessati a smontarne, ad esempio, tutta la facciata (così, certo, sembrerà tutto più nuovo).

In ogni caso, sia che la volpicina di turno, in cui l’astuzia diventa furbizia di bassa lega, venga frenata, sia che riesca a conquistare il posto cui aspira, il problema resta. Il leone, l’ho già ricordato, non è necessariamente un soggetto diverso dalla volpe: per Machiavelli l’ideale è invece che stiano congiunti nella medesima persona, meglio, nel medesimo soggetto storico. Allora la volpe diventa quel che dev’essere, e cioè l’astuzia messa al servizio di una buona causa. E cioè: il leone è l’altra faccia della politica. E cioè: il leone è la forza che incarna l’astuzia e la rende efficacemente operante, sia contro i lupi sia contro gli inganni, che, dice Machiavelli, da ogni parte ci avvolgono e cimentano.

Da quando non abbiamo più i Principi (chissà se è stato un vantaggio), il binomio volpe-leone, il moderno Principe, si è incarnato il più delle volte in un’identità collettiva: l’organizzazione (anche questa non è una grande novità, o no?). I grandi uomini della sinistra europea otto-novecentesca lo avevano perfettamente capito. In parole povere: stiamo messi malissimo perché il problema di un’organizzazione politico-sociale orientata chiaramente a restituire potere (in tutti i sensi) a tutti quelli che, dal punto di vista sociale, economico e politico, ne hanno sempre più incredibilmente sempre meno, da alcuni decenni non è stato più posto con chiarezza, anzi non è stato posto per niente.

Allora: che vinca Renzi o auspicabilmente che perda, il problema resta questo. E cioè: possibile che il XXI secolo, ossia la gloriosa postmodernità, si accontenti d’essere soltanto il tempo delle volpi, e non più dei leoni? Ammettiamo pure che «partito» sia metafora vecchia di una cosa nuova che dobbiamo reinventare; ma la sostanza è questa, e alla sostanza «partito» bisogna tornare a pensare.

Come in tutti i ragionamenti in cui ambiziosamente contingenza e storia si mescolano insieme, anche in questo dev’esserci un apprezzamento anche molto rischioso, ma ineliminabile, del presente. Lo spazio temporal-politico che ci lascia la sopravvivenza del governo Letta, ora forse meno precaria di quanto non sembrasse fino a qualche giorno fa, va occupato, per quanto ci riguarda, da questo compito strategico ineliminabile. Dunque: il governo Letta non è in questo momento il nemico principale; il nemico principale è l’ulteriore degenerazione della sinistra, quella che ci resta e quella che rischia di avanzare sotto i nostri occhi. Affermazione veramente scandalosa, me ne rendo conto: per ora, questo governo più dura e meglio è.

E’ così che si fa: muoversi, calcolando esattamente il rapporto che passa fra le condizioni pre-ordinate e costrittive del lavoro che facciamo e l’obbiettivo che ci si propone di raggiungere. Tanto meglio se, combattendo Renzi, questa ipotesi si riaffaccia e s’impone come centrale anche all’interno del dibattito congressuale del Pd. Se non si opera così, il leone resterà segregato nella sua tana, le volpi, anzi le vulpecule affamate di spazio e di potere, dilagheranno sempre più a fare strage dei polli che noi siamo.

 

 

Rassegna Stampa

10 – 20 novembre 2013

Autostrada Tirrenica: verso il “No Sat day”

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