Grandi opere: inutili per chi?

di Paolo Baldeschi, su Eddyburg, 10 novembre.

Tav Torino- Lione, Pedemontana Lombarda, Pedemontana Veneta, Autostrada di Val Trompia, Autostrada Tirreno-Brennero, Bretella Campogalliano- Sassuolo, Tav Brescia-Verona, Terzo Valico, Tav fiorentina, Autostrada Tirrenica, sono alcune tra le grandi opere più dichiaratamente inutili (come sarà confermato, se si faranno, dalle analisi costi e benefici) e più avversate dalle popolazioni locali, dai comitati e dalle associazioni ambientaliste. Cui si devono aggiungere il Trans Adriatic Pipeline (Tap) e, perché no, il Ponte sullo Stretto di Messina. Di queste due infrastrutture localizzate al Sud, una è ormai irreversibile, grazie ai contratti firmati dal Ministro Calenda, l’altra è un incubo che riappare a ogni tornata elettorale – l’ultimo endorsement è stato quello di Matteo Renzi.

Alcuni aspetti sono ricorrenti nei progetti e nelle vicende delle grandi opere, oltre la loro accertata inutilità e il supporto acritico dei fautori dello sviluppismo infrastrutturale. Innanzitutto, le grandi opere in questione sono in buona parte localizzate nel Nord Italia, alcune nel Centro, marginalmente in un Sud, che ancora attende il completamento della Salerno- Reggio Calabria, ancorché ribattezzata Autostrada Mediterranea. Il secondo aspetto è che i costi di progetto (cui si aggiungono i rincari e le cosiddette “riserve”) si aggirano sui 40 milioni di euro al chilometro, indipendentemente dalla morfologia del territorio e dagli ostacoli da superare. Il terzo aspetto è che molte opere che dovrebbero essere realizzate in project financing sono arenate perché i privati, dopo avere prosciugato gli aiuti statali, non hanno le risorse finanziarie necessarie, né possono garantire ulteriori crediti bancari.

Il quarto aspetto è ciò che rende così appetibile la realizzazione delle grandi opere inutili in project financing: la certezza che, comunque vadano le cose, il soggetto attuatore ne uscirà con lauti profitti. Esemplari a questo proposito gli accordi relativi alla Pedemontana Veneta, i cui proventi gestionali andranno alla Regione Veneto in cambio di un canone versato al costruttore di 153 milioni di euro l’anno; un’operazione a rischio zero per il consorzio Sis, vale a dire Dogliani, e con una lauta rendita garantita; a maggior ragione se si considera che i traffici reali saranno ben al di sotto di quelli scientemente sovrastimati nel progetto.

Infine vi è un ulteriore aspetto che fa parte della strategia dei “capitalisti a rischio zero”, promotori delle grandi opere stradali e ferroviarie, e che spiega la costituzione di consorzi di imprese privi di adeguate risorse finanziarie. Dal momento che le opere sono divise in stralci, l’importante è realizzare un primo lotto. A questo punto l’opera diventa “irreversibile”: per quali ragioni? Basta leggere la stampa amica: “perché ormai non si può tornare indietro”, “perché le decisioni sono state prese”, “perché le penali supererebbero i costi del completamento”, ecc. Anche se gli stessi sostenitori dei progetti spesso devono ammettere che i conti non tornano e che i flussi previsti di merci o veicoli erano sballati, finisce che deve pagare il pubblico.

Seguendo questa strategia, alcune delle più importanti e impattanti opere inutili hanno un primo tratto realizzato o, almeno, cantieri in corso, appalti assegnati, operai assunti (e licenziabili). Tra tutte la Pedemontana Lombarda (edulcorata come “sistema viabilistico”, ma la polpa è quella), la Pedemontana Veneta, il sottoattraversamento di Firenze, la ferrovia Tortona/Novi Ligure-Genova, meglio nota come Terzo Valico; nel frattempo tutti gli altri concessionari stanno accelerando accordi e procedure per raggiungere l’agognato stato di irreversibilità, facendo talvolta, come si suole dire, “carte false”.  Su questa linea anche il progetto del nuovo aeroporto di Firenze, un caso esemplare di atti illegittimi e di torsione e manipolazione delle leggi.Fanno eccezione le vicende dell’autostrada Tirreno-Brennero, di cui sono stati costruiti 9 chilometri e qui ci si è fermati. Un inghippo utilizzato dal gruppo Gavio per superare le contestazioni dell’Unione Europea e ottenere un prolungamento di 34 anni della gestione della Parma- La Spezia, incluso l’aumento del 7,5% dei pedaggi nel periodo 2011-18. Un ottimo affare per Gavio, pessimo per gli utenti e il territorio.

Riusciranno i 5 Stelle al governo e il Ministro Toninelli a mantenere la promessa di cancellare le grandi opere inutili, dopo averle combattute a livello locale? O si fermeranno alle analisi costi e benefici, senza trarne le conseguenze? Difficile immaginare una Lega che abbandoni tre suoi cavalli di battaglia, come il Terzo Valico, la Pedemontana Lombarda e la Pedemontana Veneta, quest’ultima fortissimamente voluta dal governatore Zaia e indicata da Matteo Salvini come un modello per tutto il Paese: la sua base elettorale è sostanzialmente sviluppista, gli industriali e gli imprenditori grandi o piccoli del Nord si sentirebbero traditi, la destra berlusconiana riacquisterebbe vigore.

Perciò se è giusto chiedere a questo governo e, segnatamente, al Movimento 5 Stelle, di mantenere gli impegni elettorali, sarebbe sbagliato farvi troppo affidamento. I movimenti e i comitati contro le grandi opere inutili, sanno benissimo che vi sarà un tentativo di accontentare qualcuno, magari dilazionando l’inizio dei lavori, e di andare avanti per la conclamata irreversibilità negli altri casi, cercando di far leva su presunti egoismi locali.  Per questo e per trovare una strategia comune, i movimenti e comitati si sono dati una serie di appuntamenti locali e nazionali. Ben consci che le grandi opere, inutili per i cittadini, sono utilissime a banche, costruttori e a un vasto mondo politico o che fa affari con la politica; e che un contratto (fin che dura) non è un programma di governo e tanto meno include la necessità di porre l’ambiente, nonostante catastrofi, morti e danni a ogni ondata di maltempo, al centro delle politiche nazionali.