Ancora sulla questione Apuane.

downloadDopo l’articolo di Tomaso Montanari del 23 giugno, pubblichiamo le schede preparate per la Conferenza stampa di oggi mercoledì 25, nonché il successivo Comunicato stampa.

Per quanto riguarda gli emendamenti al Piano Paesaggistico, introdotti per precisare e articolare meglio la disciplina delle attività di cava, vale la pena di leggere il testo presentato dall’assessore Anna Marson alla Sesta Commissione consiliare “Territorio e Ambiente” lo scorso 11 giugno:

Emendamenti alla proposta di PIT con valenza di Piano Paesaggistico approvati dalla giunta regionale con delibera n. 485  del 10 giugno 2014.

A seguito della richiesta di revisione della disciplina del piano, da parte della Sesta commissione consiliare “Ambiente e Territorio”, relativamente al rapporto tra attività estrattive e tutela del paesaggio con particolare riferimento al contesto delle Alpi Apuane, la proposta approvata dalla giunta il 17 gennaio è stata riconfigurata in modo più articolato. Il divieto generalizzato al rilascio di nuove autorizzazioni nelle aree di cava intercluse nel territorio del parco è stato sostituito da una lettura di maggior dettaglio di ciascun Bacino estrattivo, e da norme più specifiche.  

Al tempo stesso è stato introdotto per tutti i bacini estrattivi delle Apuane, interni ed esterni al Parco, l’obbligo di piani attuativi che facciano propri gli obiettivi di qualità paesaggistica definiti dal Piano paesaggistico, individuando quantità sostenibili, promuovendo le lavorazioni del materiale escavato in filiera corta e tutelando i beni e i valori paesaggistici presenti.

Più nel dettaglio, la proposta approvata dalla giunta il 17 gennaio contemplava una disciplina unitaria per le diverse categorie di beni paesaggistici formalmente riconosciuti (e dunque vincolati), differenziando la norma riferita ai “parchi e riserve nazionali e regionali” soltanto fra “aree contigue di cava intercluse” all’interno del parco e aree contigue non intercluse. Per le autorizzazioni all’escavazione in essere all’interno delle aree contigue intercluse era previsto che, alla relativa scadenza, non vi fosse alcuna possibilità di rinnovo, mentre nelle aree contigue non intercluse le stesse erano state condizionate alla non interferenza con vette e crinali e alla valutazione paesaggistica.

In generale l’autorizzazione all’apertura di nuove attività estrattive, l’ampliamento dell’attività in essere nonché il recupero dei fronti di cava abbandonati e/o dismessi era stata subordinata, all’art.7 delle norme generali, al preventivo parere favorevole di conformità al PIT.

La nuova proposta del 10 giugno è basata su specifici approfondimenti del quadro conoscitivo e interpretativo delle aree Apuane interessate dalle attività di cava, nonché sull’esigenza di codificare, relativamente all’attività di escavazione e ai suoi riflessi sugli aspetti paesaggistici, dispositivi di tutela delle Alpi Apuane maggiormente unitari, rivolta anche alle aree esterne ai beni paesaggistici formalmente riconosciuti, coinvolgendo attivamente i Comuni, enti responsabili del rilascio dell’autorizzazione all’escavazione a valle del procedimento istruttorio, nel perseguimento degli obiettivi di tutela.

E’ stato pertanto prodottoinnanzitutto un nuovo elaborato di piano (Allegato 5 alla Disciplina di piano “Schede Bacini estrattivi Alpi Apuane”), che approfondisce lo stato di fatto per ciascuna delle 21 aree interessate dall’attività estrattiva. A tal fine sono state prese a riferimento le diverse Aree contigue di cava individuate dalla LR 65/1997 istitutiva del Parco delle Apuane, oltre all’area estrattiva di Massa e Carrara (esterna al Parco), identificate come “Bacini estrattivi”.

L’allegato 5 contiene, per ciascun Bacino, una scheda che evidenzia la presenza dei diversi beni paesaggistici formalmente vincolati, nonché dei valori paesaggistici riferiti alla struttura idrogeomorfologica, ecosistemica/ambientale, antropica e percettiva/fruitiva, individuando le criticità paesaggistiche specifiche e i relativi obiettivi di qualità da perseguire, oltre a dettare eventuali ulteriori prescrizioni (rispetto a quelle contenute nella disciplina generale). Queste ultime prevedono, in alcuni casi specifici, la non ammissibilità di ulteriori autorizzazioni all’attività di cava.

La Disciplina del Piano è stata contestualmente rivista introducendo un nuovo Capo VIII bis, Compatibilità paesaggistica delle attività estrattive, che detta norme unitarie per l’intero territorio regionale in materia di valutazione paesaggistica, prevedendo anche l’applicazione delle Linee guida per la valutazione paesaggistica delle attività estrattive di cui all’Allegato 4,. 

Sono state altresì previste specifiche Norme per i Bacini estrattivi delle Alpi Apuane Queste ultime, in considerazione del fatto che le Alpi Apuane costituiscono un valore paesaggistico unico, al quale concorrono sia i caratteri geomorfologici naturali che la cultura delle popolazioni insediate caratterizzata nella lunga durata dall’attività di cava, assumono come elemento identitario anche dal punto di vista paesaggistico questo nesso, ammettendo pertanto l’attività di cava come eccezione alla tutela del bene solo se e in quanto essa contribuisca al mantenimento della popolazione insediata e della sua cultura specifica.

In considerazione di ciò, le attività estrattive sono subordinate a un Piano attuativo, a scala di Bacino, che individua le quantità sostenibili dal punto di vista paesaggistico, coerentemente con gli obiettivi di qualità definiti per ciascun Bacino, garantendo al tempo stesso lavorazioni di qualità in filiera corta del materiale lapideo ornamentale estratto con riferimento all’obiettivo di raggiungere al 2020 almeno il 50% delle lavorazioni in filiera corta.

E’ altresì previsto che, laddove i Piani attuativi interessino beni paesaggistici, la Regione convochi apposite conferenze di servizio con la partecipazione di tutti gli altri soggetti istituzionali interessati allo scopo di verificare in via preliminare il rispetto della specifica disciplina paesaggistica.

La revisione della disciplina per le attività estrattive presenti nei territori di protezione esterna del Parco (art.11 Allegato B), esclude inoltre la possibilità che le attività estrattive interessino aree integre o rinaturalizzate,  oltre a porre ulteriori condizioni più specifiche per le montagne sopra ai 1200 metri e i circhi glaciali.

A seguito delle revisioni e integrazioni fin qui descritte sono state apportate alla Disciplina d’uso delle schede d’ambito n. 1 (Lunigiana), n. 2 (Versilia e costa apuana) e 3 (Garfagnana e val di Lima) le modifiche strettamente necessarie a renderle coerenti con la nuova disciplina generale.

Sugli emendamenti si è comunque scatenato il coro delle proteste degli industriali (vedi la rassegna stampa: dossier Apuane n. 3), e sono state espresse critiche anche dai settori ambientalisti: così l’articolo di Franca Leverotti su Eddyburg, che alleghiamo a completamento dell’informazione.

Le Alpi Apuane: vent’anni di errori e cattiva politica

di FRANCA LEVEROTTI,  da Eddyburg, 25 Giugno 2014.

Nel 1994 il Presidente del Consiglio dei Ministri impugnava la legge della Regione Toscana “Disciplina degli agri marmiferi di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara” per violazione dell’art. 117 della Costituzione (le cave devono essere normate dalla Stato e non dalle Regioni sosteneva), e in particolare perché prevedendo la Regione la temporaneità e l’onerosità delle concessioni, perpetue in base alla legge vigente, incide sui diritti reali immobiliari preesistenti, disciplinati con normativa speciale risalente alla legislazione preunitaria (Editto di Maria Teresa 1751 e Decreto di Francesco V 1846).
La Regione, che aveva legiferato costretta anche dall’“allarmante fenomeno delle rendite parassitarie” e in considerazione dell’enorme importanza economica dello sfruttamento degli agri marmiferi e della loro rilevanza anche dal punto di vista paesaggistico ambientale , aveva dettato criteri, che andavano, a parere del governo Berlusconi, a danno dei concessionari di cava. La Corte Costituzionale (488/ 1995) non solo confermava la validità della legge “rivoluzionaria” regionale, ma riaffermava la valenza dell’art. 32 comma 8 (L. 724/1994) e cioè che a decorrere dal 1 gennaio 1995 i canoni annui sarebbe stati determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato. E precisava: “A questa regola i Comuni di Massa e Carrara devono fin d’ora uniformarsi, indipendentemente dall’entrata in vigore dei regolamenti più volte ricordati”.
Che cosa è successo in questo ventennio?

A Carrara il regolamento è stato svuotato dalle amministrazioni succedute alla Fazzi Contigli; a Massa si è scelto di continuare con il decreto del 1846. Il canone rapportato al valore di mercato del marmo estratto, imposto (“devono”) dalla Corte Costituzionale, è stato dimenticato, con il vantaggio dei pochi concessionari di cave, anche percettori di rendite, che a queste rendite improprie e ai guadagni mostruosi non vogliono rinunciare. A Massa, il Comune riscuote 8,30 euro ogni tonnellata di marmo che passa dalla pesa pubblica (e molto non passa dalla pesa), indipendentemente dal valore del marmo (che oscilla da qualche centinaia di euro  ad alcune migliaia di euro)

Vent’anni dopo (2014) è ancora la politica, la cattiva politica, anche di sinistra, che scende in appoggio degli industriali e di fronte ad un piano paesaggistico che cerca di tutelare l’ambiente, le acque, i profili dei monti, i circhi glaciali, le grotte carsiche, geotopi e geositi, le aree di Rete Natura 2000 (SIC-ZPS), un patrimonio che non è solo italiano, ma del mondo intero, un piano paesaggistico che suggeriva di portare a progressiva chiusura le cave all’interno di un Parco, modificando e stravolgendo i diritti della cittadinanza.
Due soli esempi: è sopravvissuto un paragrafo nella disciplina del piano paesaggistico in cui si precisa che l’apertura di nuove cave (che cadranno in zona SIC/ZPS), l’ampliamento delle esistenti (che già ora sono entrate in zona SIC/ZPS) e ampliamenti e recuperi ambientali di cave dismesse (molte di queste sono già oggi in aree individuate come SIC e ZPS) non devono interferire in modo significativo con SIC, SIR, ZPS, emergenze geomorfologiche, geositi e sorgenti, linee di crinale, zone umide Ramsar (fatti salvi i diritti acquisiti di chi ha una attività in corso !).

Che cosa vuol dire “in modo significativo?”
Nel fascicolo Emendamenti, (pag. 7 punto 4) si scrive che si intendono “rinaturalizzate” solo le cave dismesse da almeno 30 anni: la politica dunque stabilisce che la natura si riappropria dello spazio che le è stato tolto…. solo dopo 30 anni.
La sostanza del comma ci dice che, grazie a questa precisazione, si potranno ri-aprire cave chiuse da 30 anni!
Ancora più sorprendente (pag. 8) l’art. 12 relativo alle aree boscate, aree dove sono ammessi interventi di trasformazione a condizione che non comportino alterazione significativa permanente del paesaggio. Il testo originario riportava semplicemente: alterazione significativa. La politica impone che l’alterazione significativa debba essere anche permanente: solo in questo caso non si ri-apriranno cave.
Per volontà politica il grande bacino marmifero di Carrara non è entrato nel Parco delle Alpi Apuane. Leggiamo sui quotidiani di questi giorni che la famiglia Bin Laden sta per comprare il 50% di una società che possiede 1/3 delle cave di Carrara per 45 milioni di euro. Che cosa rende così costoso quel bene? Certamente la materia prima che appartiene, come ha scritto la Corte Costituzionale, alla collettività carrarina. Quanti dei 45 milioni ricadranno nel territorio? Nessuno, ma questa cifra sarà divisa fra TRE famiglie, proprietarie appunto di quel 50%.
Siamo in Europa, ma in questa parte di Europa, nella Toscana da decenni amministrata dalla sinistra, si permette per il guadagno di pochi di tagliare a fette le creste, distruggere l’ambiente, inquinare le acque, e, per gli interessi economici di questi imprenditori, si rischia oggi che la materia paesaggistica dell’intera Regione, ancora una volta, non abbia norme e regole. E’ recente una sentenza del Consiglio di Stato (sez. IV n. 2222, 29 aprile 2014)che definisce il paesaggio un “bene primario e assoluto”, ma gli abitanti della Toscana sono costretti a ricorrere all’Europa perché ciò si realizzi.