Idee per organizzare la “piattaforma”

Dal Convegno del 24 marzo all’Assemblea del 7 luglio

un contributo di Claudio Greppi

A partire dalla “Sintesi dei temi del Convegno del 24 marzo” (Baldeschi), dall’ultimo documento di Asor Rosa sul neo-ambientalismo italiano, dagli abstract  del Convegno stesso e da alcuni documenti che sono circolati in seguito, si può pensare ad una articolazione della proposta di piattaforma di questo tipo (ogni punto richiede ulteriori sviluppi e presuppone la più ampia partecipazione di comitati e di singoli aderenti alla Rete):

  1. Una premessa che riguarda il quadro legislativo, dal quale non si può prescindere: si riprendono i temi della cosiddetta “postilla istituzionale” della sintesi di Paolo Baldeschi, nonché la relazione di Salvatore Settis e anche gli interventi di Franca Zanichelli, Direttore del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e di Roberto Mazza del Forum nazionale “Salviamo il paesaggio”. Alla base di qualsiasi piattaforma va posta una revisione della Legge regionale per il governo del territorio, tale da rimettere il paesaggio al suo posto, secondo quanto stabilito dall’art.9 Cost. In altri termini la qualità del territorio, che riconosciamo nei valori paesaggistici, non può in ogni caso essere messa in discussione da interventi settoriali o da iniziative locali. Si è già osservato che anche il migliore dei piani paesaggistici, quale ci auguriamo venga fuori dal laboratorio che è stato messo in piedi a questo scopo, non avrà effetto se non sarà adeguatamente modificata la legge 1/05. Si può ulteriormente argomentare, come è stato fatto nel Convegno, che se siamo ridotti a difendere valori che dovrebbero essere scontati almeno dal punto di vista culturale, è perché nella fase storica che attraversiamo l’aggressione al territorio, e quindi l’investimento massiccio nella rendita fondiaria e nelle infrastrutture, sono  intimamente collegati alla crisi e alla deriva finanziaria del capitalismo attuale. Non a caso Guido Viale, nella sua relazione, collocava la proposta di “territorializzazione” dell’economia nella prospettiva di una possibile uscita dalla crisi. A questo punto si può passare ai singoli capitoli che dovranno formare la vera e propria piattaforma.
  2. Per il tema “Risorse, energia, acqua”, rimando alle relazioni di Viale e di Chessa, in sede di Convegno, nonché agli interventi di Mori, Mammolotti, Pazzagli (Colle) e Biagini (Piana di FI). Inoltre circolano contributi importanti dei comitati contro gli inceneritori (Piana fiorentina, Valdisieve) che esprimono un punto di vista unanime. Da notare che su questo tema (gli inceneritori) si verificano anche spaccature nelle maggioranze locali (Livorno, Arezzo), o fra comuni vicini, come in Chianti (Greve vs. San Casciano), mentre altre giunte sempre di centro-sinistra (Capannori, e forse quella nuova di Lucca) sono orientate nella stessa direzione dei comitati. Non rimane che accogliere nella piattaforma una proposta come quella di Alterpiano – presentato in sede di Convegno da Biagini – “che si pone l’ obiettivo di raggiungere, attraverso ‘i dieci passi verso Rifiuti zero’, la riduzione della produzione dei rifiuti urbani, il riutilizzo dei beni che possono avere ancora vita utile, di favorire e incentivare la raccolta differenziata domiciliare che responsabilizza gli utenti, siano i cittadini o le attività economiche, e di favorire la complessiva filiera impiantistica legata al riutilizzo e al riciclaggio dei beni e delle materie incorporate nei rifiuti e di studiare quei residui, che rappresentano ‘la patologia’ del sistema, per migliorare non solo le strategie di raccolta (riducendo ulteriormente i conferimenti impropri) e di riparazione/riuso ma soprattutto per segnalare gli errori di progettazione dei beni messi al consumo e al momento non riciclabili e/o non compostabili e per contribuire ad attivare costantemente la ‘responsabilità estesa del produttore’. Inoltre il tema del dissesto idrogeologico e della fragilità del territorio, come osserva Mauro Chessa nella sua relazione, va collegato allo sfruttamento intensivo e incontrollato di risorse quali l’energia geotermica (sull’Amiata e nella Val di Cecina) e l’estrazione di minerali destinati all’edilizia (Apuane, Montagnola), oltre che all’espansione urbanistica nelle aree golenali (non solo in Lunigiana). A questo proposito si osserva che anche una legge “severa” come la 66/2011 che doveva bloccare l’edificazione nelle zone a pericolosità idraulica molto elevata, negli alvei dei corsi d’acqua e nelle golene, ha subìto pesanti deroghe in Consiglio Regionale con lo scopo fra l’altro di “agevolare” la realizzazione dell’inceneritore di Selvapiana, presso la Rufina, nell’area golenale della Sieve. Si può assumere la formula che “la vera grande opera pubblica è risanare il territorio”, come recita il titolo di un documento del Gruppo Urbanistica della lista perUnaltracittà di Firenze.
  3. Di pratiche urbanistiche, di relazioni fra gestione del territorio urbano e interessi finanziari, di consumo di suolo, delle vertenze in corso e di possibili alternative orientate ad un diverso modello di sviluppo, hanno trattato nelle loro relazioni Claudio Greppi, Ornella De Zordo, Alberto Magnaghi, ma anche gli interventi di Roberto D’Autilia, Alberto Primi e Massimo Morisi. La critica degli strumenti urbanistici, oltre che impegnare direttamente molti Comitati, riguarda il lavoro di eventuali rappresentanti di liste di cittadinanza entrati nei Consigli Comunali. La materia urbanistica infatti è per eccellenza il luogo degli affari più o meno trasparenti che vedono protagonisti i ras locali del sistema di potere toscano. Si è sperimentato che quando un Comitato può anche contare sulla presenza istituzionale nel Comune (vedi Sovicille, Campiglia, San Casciano), c’è un notevole vantaggio in termini di possibilità di accedere alle informazioni e spesso anche di incidere sulle decisioni, o per lo meno di rendere pubbliche le scelte che altrimenti passerebbero sotto silenzio. Sarebbe interessante capire se la stessa cosa vale per le esperienze dove esiste una lista di cittadini, ma non un comitato: e se anche queste situazioni possono essere coinvolte nella preparazione e soprattutto nella gestione della piattaforma. La critica alle politiche urbanistiche comunali riguarda in ogni caso alcuni punti fondamentali, come il consumo di suolo dovuto ad espansioni che non hanno altra giustificazione che quella finanziaria (non vengono mai verificate le alternative di recupero di superfici e volumi esistenti, come prescritto dalla stessa legge 1/05,art.3 comma 4), nonché la stessa redazione tecnica dei piani, la cui oscurità e fumosità è funzionale alla contrattazione diretta con le imprese e alla pratica delle varianti, mentre la partecipazione dei cittadini di solito è ridotta a pura propaganda, nella quale si enunciano grandi e ottimi propositi, regolarmente smentiti nei fatti. I casi di applicazione della Legge Regionale 69 del 27 dicembre 2007 sono pochissimi e dovrebbero essere attentamente considerati: vedi Montespertoli e Lastra a Signa. Viceversa si capisce ormai che la contestazione legale, nella forma del ricorso al TAR da parte di Comitati o Associazioni, risulta costosa e ormai anche rischiosa, mentre si sono avute le prime esperienze di attivazione della “Conferenza paritetica interistituzionale” prevista dalla LR 1/05 (art.24-26): a Casole d’Elsa e a San Vincenzo: vale la pena di fare un bilancio di queste esperienze. Tutti questi temi assumono proporzioni inusitate quando dai piccoli centri si passa alle città: se la vicenda lucchese, con la contestazione della lottizzazione del Parco di Sant’Anna, può essere ancora portata ad esempio di conclusione (positiva) di un braccio di ferro fra un comitato ben radicato e un’amministrazione (di destra) particolarmente inadempiente, il caso di Firenze è certamente più complesso e da solo richiede un passaggio-chiave nella piattaforma della Rete, anche per la molteplicità dei soggetti coinvolti, comitati e associazioni. Le contestazioni avanzate in diverse occasioni, da quella del Piano Strutturale a quella dei lavori per la Tav, passando per singoli contesti urbani (San Salvi, Castello, Novoli) rimandano alla mancanza di una visione complessiva della forma urbana e del suo destino, che invece deve essere alla base della nostra piattaforma. Il sindaco Renzi si compiace di frantumare in “cento punti” quelle che dovrebbero essere cento idee, alle quali manca proprio l’unica idea guida che dovrebbe essere alla base delle decisioni: queste derivano invece, caso per caso, da “istanze superiori” (Ferrovie), da operazioni private più o meno contrattate, da progetti affidati alle imprese nella logica del project financing. Con il risultato di scelte che si contraddicono a vicenda, di pasticci progettuali che si aggiungono a pasticci progettuali. Esemplare, in questo senso la vicenda della tranvia, che poteva essere l’occasione per impostare il futuro di Firenze su un solido studio della mobilità urbana, e invece si va realizzando pezzo per pezzo.
  4. del ruolo dei grandi spazi rurali nel territorio toscano, e delle relative problematiche, si sono occupati nel Convegno Piero Bevilacqua e Alberto Magnaghi, oltre a Benedetta Origo. I loro interventi sulla questione appenninica e sulle prospettive dei parchi agrari si possono considerare la specificazione del programma di “riconversione ecologica” esposto da Guido Viale. La Toscana (così Magnaghi), proprio per la natura e la storia del suo territorio, può proporre straordinari modelli di produzione della ricchezza futura in forme durevoli; producendo innanzi tutto i mezzi di produzione socio-territoriali di questo nuovo ciclo, in cui molte cose devono decrescere (consumo di suolo, grandi opere, grande distribuzione, grandi apparati industriali, grandi dipendenze dalla finanza globale, grandi metropoli e grandi periferie), altre devono crescere (cittadinanza attiva, reti corte fra produzione e consumo, spazi pubblici, sistemi di economie locali, ripopolamento rurale e montano ecc). I percorsi del ritorno ai campi hanno lo scopo di nutrire le città con cinture di agricoltura periurbane (fattorie didattiche, orti, frutteti giardini) e parchi agricoli con cibo sano a km zero), con l’obiettivo fermare i processi di deruralizzazione, riqualificare i margini urbani e avviare il ripopolamento produttivo con forme di “neoruralità” fondate sul modo di produzione contadino; di ridurre l’impronta ecologica con la chiusura locale dei cicli dell’acqua, dell’energia, dell’alimentazione; elevare la qualità ambientale (salvaguardia idrogeologica, qualità delle reti ecologiche e del paesaggio); di elevare la qualità abitativa delle periferie (standard di verde agricolo “fuori porta fruibile”, riqualificazione dei margini urbani (qui finisce la città, là comincia la campagna); di restituire un ruolo produttivo ai paesaggi rurali storici: regole sapienti ambientali, idrogeologiche, ecologiche produttive, in grado di dare indicazioni per la riqualificazione della multifunzionalità dell’agricoltura e in particolare per il cambiamento climatico. In questo senso la piattaforma dovrà considerare l’esperienza della “Carta delle Apuane”, presentata nel 2010 come esempio di un vero e proprio piano-programma di sviluppo economico alternativo articolato per settori (marmo, agricoltura, turismo) e per fasce territoriali, nonché le proposte che emergono dai comitati della Val d’Orcia e della Val d’Asso per superare la fase di impasse nell’attuazione di quello che avrebbe dovuto essere il “parco artistico naturale e culturale”, e infine anche l’impegno dell’assessorato al territorio della Regione per la realizzazione del parco agricolo della Piana fiorentina.
  5. Infine a proposito di infrastrutture e grandi opere si rimanda alle relazioni di Maria Rosa Vittadini e di Ornella De Zordo e all’intervento di Paolo Celebre. Il tema delle “grandi opere inutili” è stato al centro di in importante incontro nazionale organizzato a Firenze (sempre nel marzo scorso) dal comitato Notunneltav, e più di recente di un’iniziativa in Palazzo Vecchio con la partecipazione di esperti tedeschi (Winfried Wolf, e Heiner Monheim) i quali hanno firmato insieme ad Alberto Asor Rosa e Salvatore Settis due lettere destinate al presidente del Consiglio e alle istituzioni toscane. La presenza degli esperti tedeschi è servita a testimoniare che anche in città del nord (Stoccarda, Colonia, Amsterdam) lavori del tipo di quelli che si stanno per iniziare a Firenze hanno prodotto disastri che una volta avviati i cantieri diventa sempre più difficile evitare. Il problema riguarda non soltanto le modalità degli appalti, gli aspetti tecnici o finanziari, ma prima di tutto l’utilità dell’opera proposta, della quale non si discute mai, né in Val di Susa né a proposito del nodo fiorentino. Lo stesso discorso vale per il corridoio tirrenico (che ha già la via Aurelia come struttura da riqualificare) come per le proposte di sviluppo dell’aeroporto di Firenze, qualsiasi sia la soluzione proposta (la pista parallela all’A11 indicata dal presidente Rossi è comunque la peggiore dal punto di vista dell’impatto ambientale), per non parlare di quello di Siena. Se non vogliamo rincorrere e contestare una dopo l’altra questa generazione di grandi opere, la piattaforma dovrà fissare prima di tutto gli obbiettivi da raggiungere, in termini di trasporto pubblico locale e regionale e di accessibilità: proporre un sistema integrato, sul modello svizzero, potrà essere l’occasione per raccordare interessi locali e interessi nazionali. La soluzione tecnica dei problemi così posti sarà compito delle istituzioni, non dei comitati: ai quali spetta il compito di vigilare, verificare la congruità delle scelte nei diversi passaggi, intervenire con le proprie argomentazioni.

 

Infine riproporrei le considerazioni finali del mio intervento al Convegno del 24 marzo: le condizioni perché un progetto si possa considerare coerente con la cultura espressa dai comitati (e quindi con la piattaforma che uscirà dall’assemblea del 7 luglio) possono essere riassunte in alcuni obiettivi generali:

  • Un programma di manutenzione: siamo in ogni caso favorevoli ad iniziative che abbiano come obiettivo quello della conservazione del patrimonio ambientale e paesistico, non tanto nella forma del vincolo (ormai desueta), ma in quella di progetto di manutenzione: occasione di investimenti, di occupazione ecc.
  • L’acquisizione di beni comuni: qualsiasi intervento che estenda la fruizione sociale del patrimonio di beni culturali e ambientali può qualificare ulteriormente il progetto della manutenzione. Aggiungo: la gestione collettiva di alcuni dei beni comuni può configurare un nuovo terreno di mobilitazione.
  • E infine il ri-uso: opere edilizie e infrastrutture nate per determinate funzioni ne possono svolgere altre, senza per questo perdere la propria qualità. La rete dei centri storici, le strutture insediative delle campagne, gli spazi aperti dell’Appennino e della costa toscana sono la sede di nuove opportunità.

Viceversa, qualsiasi previsione che comporti un consumo delle risorse del territorio, cominciare dal suolo, va sottoposta prima di tutto alla verifica della sua utilità. Osservo che adesso, a quanto pare, i conflitti che nascono dalla deprecata sindrome Nimby (Not In My Backyard) vengono chiamati, con un acronimo più neutrale, Lulu (Locally Unwanted Land Uses), e gli esperti di comunicazione consigliano alle istituzioni di tenerne conto per evitare effetti economici e politici incontrollati. Ma prima di aprire una vertenza, ossia di far sentire la voce dei cittadini più o meno organizzati, per noi la domanda è: ma quel progetto è davvero necessario? Sono state valutate le alternative, inclusa la famosa (e mai considerata) “opzione zero”?

Il ri-uso delle strutture fisiche, delle relazioni sociali, dei saperi di un territorio è una scelta di parte: la parte del territorio.

 

Claudio Greppi, 13 giugno.